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È uscito da poche settimane per la Anteism Books un libro fotografico che celebra l’importanza culturale e le scenografie mozzafiato di In Past Pupils and Smiles, un evento che forse è poco conosciuto ai più, la performance che Solange e un corpo di musicisti, ballerini e cantanti unito a un gruppo di sedici donne nere chiamate The Gatekeepers, danzatrici provenienti da varie parti d’Europa, tennero alla Biennale di Venezia esattamente tre anni fa, il 24 novembre 2019, presso il Teatro alle Tese dell’Arsenale. Pochi hanno avuto la fortuna di esserci dal momento che la performance era stata annunciata soltanto pochi giorni prima e che l’ingresso era limitato a 150 persone, le prime che fossero arrivate sul posto. Non essendoci alcun biglietto acquistabile in anticipo, un folto gruppo di persone, tra le quali il sottoscritto, si sono ritrovate diverse ore prima dell’inizio dell’evento fuori dal teatro in fila, incuranti della pioggia e del freddo, per riuscire ad accedere.
Al tempo Solange aveva da pochi mesi pubblicato When I Get Home, il brillante seguito di A Seat at the Table, entrambi album centrali per la Black Music dei ’10s, riconosciuti dal pubblico e dalla critica come due dei dischi fondamentali dello scorso decennio. Neanche allora la musica coreografica e quella legata alla visual art erano una novità per Solange. Proprio When I Get Home era stato accompagnato da un film diretto ed editato da lei stessa e diffuso in due versioni, una di trentatré minuti e una di quarantuno. Il visual accompagna i brani del disco creando un percorso narrativo continuo e coerente e celebra, come l’album stesso, la storia di Houston, soprattutto la sua scoppiettante e complessa sfera musicale. La scelta di presentare il film in anteprima in nove luoghi fortemente legati alla comunità nera di Houston evidenziava una volta di più quale tipo di operazione culturale e politica il disco rappresentasse.
Oggi Solange si dedica ampiamente alla musica per corpi di ballo. Risale allo scorso settembre il suo primo score per un balletto del Fall Fashion Gala al New York City Ballet. Nel 2019 Solange aveva inoltre composto altre pièce, come Witness! e Bridge-s. Come lei stessa ha dichiarato in una recente intervista rilasciata al The Art Newspaper, “all of my work evolves in the next piece. I am constantly taking themes I’ve explored in past shows and using the next piece to dig deeper”, e ciò conferma che In Past Pupils and Smiles fu frutto di quelle esperienze. I suoi singulti jazz sognanti e interstellari baluginavano nel buio del teatro e dimostravano quanto il progetto fosse in linea con l’intera produzione artistica di Solange.
Agli spettatori era stato richiesto espressamente di non scattare alcuna foto, di non girare video, di non utilizzare alcun dispositivo elettronico nel corso dell’esecuzione, che durò un’ora circa, e di disporci a cerchio in piedi intorno ai musicisti e ai ballerini che si sarebbero mossi molto liberamente nello spazio del teatro, dai colori polverosi e ferrigni. La fisicità dei corpi, i loro gesti e i loro salti, la geometria delle schiene inarcate e dei passi delicati dei ballerini in scena, con Solange stessa in mezzo a loro a dettare e spesso a iniziare alcune delle transizioni più notevoli del pezzo, emergevano come lampi nell’oscurità del luogo. Questo era appena illuminato, come la performance richiedeva, e in questa tiepida penombra i movimenti erano come pennellate e dipingevano nell’aria le melodie e le vibrazioni che la musica creava.
La performance di In Past Pupils and Smiles si tenne proprio nel giorno di chiusura della Biennale Arte 2019, circa una decina di giorni dopo l’acqua granda da record che per quasi una settimana creò problemi enormi a Venezia, alla sua gente, alla sua arte e al suo tessuto cittadino. La potenza catartica di Pupils assume un valore particolarmente cruciale se inseriamo la performance come ultimo atto dell’intero senso di quell’edizione di Biennale, così gravida di segni, così piena di presagi, incastonata in un’annata funestata da incertezze sociali, economiche e politiche che tutti conoscevamo e che ci avrebbe poi condotto al Covid, un’altra sfida e una nuova crisi anch’essa per certi versi prequel di molte altre catastrofi che sono arrivate dopo e che stiamo ancora affrontando.
È una lettura un po’ forzata, forse, e sicuramente influenzata dal fatto che oggi, mentre scrivo, tutto questo è già successo. Tuttavia quella performance, la sua musica e il suo ritmo, quell’equilibrio precario di oscurità e di luci fioche, di metaforiche lacrime che sgorgavano copiose dagli strumenti dell’orchestra, quel senso di provvisorietà nei movimenti di Solange e di tutti i ballerini, scrivevano sul suolo qualche storia sconosciuta che avrebbe ottenuto risposte forse solo molto dopo, a freddo, quando le sue stesse dinamiche iniziassero a divenire flebili persino nella mente di chi all’evento era presente. È in questa dimensione di caducità che In Past Pupils and Smiles va a edificarsi, come un castello di carte che desta in tutti meraviglia per la sua fragilità e che eppure in questo contesto esiste, resiste, evolve. Ed è in un contesto come questo, in fondo, che tutta la produzione musicale di Solange cresce e cambia.
Come conferma il comunicato stampa che accompagna la notizia dell’uscita del libro, In Past Pupils and Smiles “meditates on the interrelations between aesthetics of the Self, the body and constructions of spatiality”. Proprio attraverso le geometrie dei corpi e dei loro movimenti, che la musica accompagna e in un certo senso disegna, emerge uno spazio costruito intorno al sé che compare e poi scompare nel momento stesso in cui il corpo prima lo occupa e lo incarna e poi lo abbandona. È un lavoro fortemente radicato nello studio della “Black womanhood”, che Solange, collegando tradizioni di “postmodern dance, minimalism, architecture and queer/feminist narratives”, fonda nel suo stesso percorso di donna nera che ha indagato le proprie radici e ha riflettuto su come esse possano dialogare con le avanguardie non soltanto musicali.
Con la sua performance, a oggi l’unica, avvenuta quel giorno a Venezia, In Past Pupils and Smiles, pièce pensata proprio per la chiusura della 58ª Biennale Arte e per la città lagunare, è un hic et nunc la cui relazione con il luogo in cui è stata eseguita è corollario del lavoro stesso. Le fragilità sia musicali sia coreografiche del pezzo sono correlativo oggettivo della fragilità di Venezia, sempre esposta al rischio di esiziali inondazioni nonché a un turismo di massa che la rende sempre più reificazione di un’immagine stropicciata e maltrattata. La documentazione fotografica ufficiale di quel giorno lascia sbalorditi e permette a chi non c’era di tuffarsi dentro all’opera pur non potendola ascoltare: questa monografia di quasi duecento pagine, che ha un prezzo ragionevole, rende giustizia a un’opera il cui valore intrinseco è profondo e indiscutibile. Per usare le parole che ha condiviso Solange nell’annunciare l’uscita del volume, esso è “the most in depth documentation of my process and relationship with performance”.
(Tutte le immagini sono tratte dal sito di Anteism Books.)