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Le Pipettes furono un lampo negli anni Zero e “We Are The Pipettes” un fulgido debutto certamente ispirato ai ’60 ma che ha in ogni caso marcato quel 2006. E Rose Elinor Dougall che oggi fa coppia con Graham Coxon nel progetto The WAEVE era proprio una delle tre Pipettes, uscita nel 2008 per dedicarsi alla sua carriera solista. Bisogna dirlo subito: la meraviglia di questo primo disco eponimo pare merito soprattutto di lei. Lo si dice analizzando i suoi tre dischi solisti, tre prove davvero notevoli che – ammetto – mi sono andato ad ascoltare proprio in vista della presente recensione, e che regalano un indie-rock senza timori, tendente a un pop da camera ma in toni da grandeur, lievemente sperimentale, insomma tre album che è fondamentale approfondire. Mentre invece Coxon lo conosciamo, sia coi Blur ma soprattutto nelle sue prove soliste, giunte già al considerevole numero di dodici, e del suo stile di songwriting poco emerge in “The WAEVE”. Però è anche errato indagare un nuovo progetto come se fosse la somma dei due stili dei singoli, perché in effetti The WAEVE è una rara sorpresa.
The WAEVE sono due anime che si sono incontrate, artisticamente e umanamente (i due fanno coppia anche nella vita) e il risultato è fecondo: prendete i Goldfrapp di “Felt Mountain”, mettete un basso post-punk che tiene su buona parte del sound, gli arpeggiatori sinistri dei Portishead di “Third”, le arrendevolezze dei Talk Talk, un sax ben dosato ma sempre presente praticamente in tutti i pezzi che dà il colore giusto e jazzy a un pop spesso orchestrale alla Burt Bacharach (che riposi in pace) e avrete un’idea sufficientemente precisa di quello che sono The WAEVE. Ma è solo un tentativo di dare delle coordinate, perché The WAEVE non si fa ingabbiare in binari definiti ma usa una pletora di linguaggi per arrivare a comunicare nella propria personale maniera: solenne, evocativa, aggraziata. Canta molto più spesso Rose, Graham fa qualche parte solista (“Kill Me Again”, “Alone And Free” che parte come una specie di outtake del tema di Twin Peaks) ma più sovente doppia le voci o fa qualche intervento, e va bene così perché se è vero che l’humus plumbeo dei The WAEVE gode della voce della Dougall, le sporadiche deviazioni di Coxon conferiscono quella varietà che rende il susseguirsi dei pezzi ancor più a punto.
È certamente un album da ascoltare ritagliandosi il tempo di farlo, non funziona se si è anche solo un poco distratti perché è piuttosto stratificato e flemmatico (a parte la veloce “Someone Up There”). Non è quindi un disco adatto a questi tempi frenetici e multitasking e proprio ciò ne accresce il valore. Perché il suo fascino è quello del tempo dilatato, dei progetti, del futuro, dei sogni, delle ore dedicate alle persone o alle passioni senza disattenzioni, con cura, dedizione e impegno. Una roba ormai desueta, presi come siamo dal passare velocemente da questo a quell’altro stimolo.
The WAVE ci dicono di fermarci ad ammirare l’orizzonte, ed è una sensazione bellissima.
82/100
(Paolo Bardelli)