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“Cracker Island” dà l’idea di un luogo alquanto scricchiolante, instabile e incerto, ma al tempo stesso vuole essere un rifugio, un nascondiglio. Su BBC Radio 1 Damon Albarn parlando del suo ultimo progetto coi Gorillaz ha dichiarato: “È la storia su un gruppo di persone che si ritrova a vivere su quest’isola e su come si forma un culto, un folle folle culto attorno a cui ruota la vita del leader scelto da questo gruppo di disadattati che vuole cambiare il mondo”. Più che su un’isola, sembra di ritrovarsi in una camera di eco distopici dove risuonano tutte le voci dei featuring: da Stevie Nicks, Thundercat, Adeleye Omotayo ai Tame Impala, Bad Bunny, Beck, apparizioni stellari che conferiscono una luce che solo di notte è possibile vedere così nitidamente.
A questo punto della loro carriera, la band animata è padrona del proprio universo, qualunque universo scelgano di attraversare in quel determinato momento. Se “Plastic Beach” del 2010 ha criticato la natura superficiale del consumismo, “Cracker Island” – un tesoro di riferimenti pop – si tuffa in una disillusione in cui ci si può perdere facilmente, fagocitati da una società artificiale destinata a crollare da un momento all’altro: “I think the sadness has come again” la voce stanca canticchia sulla disco glitterata di “Tarantula” e ancora “Time’s run out, nowhere’s real”. I Gorillaz hanno la capacità di prendere una singola nota e costruire attorno ad essa delle connessioni sonore, creando un’esperienza di ascolto coinvolgente e portando l’ascoltatore un po’ più vicino ai paesaggi sonori ultraterreni visibili solo attraverso i loro occhi.
C’è una lucentezza psichedelica ispirata agli anni ’80 che permane per tutte le tracce, in particolare in “Oil”, con la voce di Stevie Nicks. È la parte femminile di Albarn che cerca di trovare soluzioni alla crescente indifferenza che circonda l’essere umano e prova a suggerire che se le nostre relazioni diventassero realmente reciproche ciò potrebbe non solo essere gratificante, ma riuscirebbe addirittura a cambiare il mondo: “Individual actions change the world, Fill them up with love” concludono Stevie e Damon all’unisono. I caratteristici falsetti di Thundercat abbinati alla burbera aggressività e all’estro musicale di Albarn, hanno reso il pezzo da cui prende il titolo l’album uno dei momenti più memorabili del progetto. È divertente sentire Albarn fare dell’ironia su un “mondo da crack screen” governato dai social media nell’ R&B di “Tired Influencer”, dove un mondo fatto di schermi prende possesso della vita di chi li possiede. L’incandescente bellezza elettronica di “Silent Running”, stancamente trascina l’ascoltatore attraverso un testo di mezze verità, un lento viaggio verso la scomparsa nel mondo come lo abbiamo conosciuto divorato dal disordine senza leggi di Internet: “I got caught up in nowhere again, It feels like I’ve been silent running through the infinite pages, I’ve scrolled out, searching for a new world”. Il viaggio verso l’apatia è zombificante, è come vivere (o non vivere) su una Terra apparentemente distrutta dove le poche cose importanti e vitali per poter ricreare un futuro, vengono conservate in contenitori futuristici per le generazioni che verranno, in questo paesaggio lunare aleggia la voce di Omotayo che canta desiderando “un nuovo mondo nella desolazione dell’alba”.
Lontano dal synthpop in stile anni 80, “New Gold” vede la collaborazione hip-hop/funk con i Tame Impala e il rapper della West Coast Bootie Brown. Mentre Brown profetizza un destino in una città desolata dai cieli pieni di inquinamento e persone schiavizzate da culti, liposuzione e Twitter, Kevin Parker fa intravedere una possibile via d’uscita mentre canta il suo ritornello sognante. Un barlume di speranza si accende sulla melanconica “Tormenta”, qui la band si avventura in uno dei pochi generi ancora inesplorati, il reggaeton, mescolando accuratamente il proprio suono ai ritmi latini: su toni da spiaggia, il rapper portoricano Bad Bunny offre uno dei versi più toccanti in assoluto: “Si el amor nunca ha si’o perfecto Ojalá sea por siempre este momento”, accettando che se anche l’amore non è perfetto o facile, si spera che duri comunque per sempre. L’elegiaco “Possession Island”, si rifà al più profondo progetto di The Good, the Bad and the Queen di Albarn, con un motivo di pianoforte tintinnante ed eleganti armonie che vedono Beck lanciarsi in un country-western. Chi poteva immaginare che un album così pieno di ironia potesse finire con una toccante richiesta di redenzione: “Should I ask you? For forgiveness? And open my heart? If I say these words will you listen or leave me here in the dark” .
Cracker Island è il posto in cui Albarn si rifugia, troverà mai quello che sta cercando? Riuscirà un giorno a tornare in un mondo più umano? Per sapere la risposta probabilmente dovremo aspettare il prossimo lavoro della band animata, nel frattempo, se questa vita sta stretta anche a voi, prendete la prima nave, sull’isola sgangherata dei Gorillaz c’è posto per tutti.
85/100
Artwork di Nasty Little Man