Share This Article
MEETING è il contenitore che abbiamo ideato per mettere in risalto alcune di quelle realtà che operano nell’underground musicale italiano (e non solo) producendo musiche fuori dai grandi riflettori e dalle convenzioni di stile, rendendo il panorama discografico più vario e interessante e incessante fonte di scoperta per noi appassionati. In ognuno di questi appuntamenti presenteremo una label tramite un’intervista a chi la cura, e tre uscite della stessa: la più recente e altre due che aiutino l’ascoltatore a calarsi nel mondo sonoro proposto. Qui potete recuperare i precedenti episodi. Buona lettura, buon ascolto.
La République des Granges
Incrociata per caso lo scorso anno nel corso del consueto digging su Bandcamp e conseguente scambio di nomi e dischi (ancora grazie all’eterno master of digging Francesco Lippi aka DPK800), La République des Granges è diventata in brevissimo tempo una realtà della quale mi sono prima incuriosito, poi innamorato, e infine imparato a conoscere attraverso il loro vasto catalogo e le frequenti uscite, che abbracciano una quantità di stili enorme, dal rock più psichedelico all’elettronica sperimentale. Mi sono un po’ basato sulle loro uscite per crearmi una sorta di cartina tornasole di parte del panorama underground francese, e ho raggiunto il suo fondatore, Manuel Duval, per approfondire il suo lavoro negli 11 anni di attività della label. Grazie alle sue risposte, quindi, ho avuto un quadro più chiaro delle varie facce della sua etichetta e della fitta rete di interconnessioni della musica underground francese. Buona lettura, e buon ascolto.
La prima domanda è quasi obbligata: quando e come nasce il progetto La République des Granges?
È iniziato nel 2012 con il desiderio e il bisogno di avere uno strumento di edizione autonomo: sono un musicista. Prima un disco e poi una cassetta di 1000 Bouche, un duo con il mio amico Jean-Marc Reilla (con cui poi faremo Rien Virgule, insieme ad Anne Careil e Mathias Pontevia). All’inizio non avevo davvero pensato di creare un’etichetta. Avevo comunque menzionato questo nome, “La République des Granges”, sulla copertina, sentendo che poteva essere l’inizio di un’avventura, ma non mi proiettavo più di tanto. In un certo senso, è diventata davvero un’etichetta quando degli amici hanno cominciato a contattarmi per propormi di pubblicare la loro musica. Avevo come modelli altri micro-labels che seguivo all’epoca: Tanz Procesz, Galeries Pache, Potagers nature, Commence par maman…
Il vostro catalogo è veramente sfaccettato: si passa dal rock all’elettronica sperimentale, dal synthwave alla musica concreta. Quello che mi sembra formare il filo rosso, però, è l’atteggiamento sempre ‘weird’ e sperimentale. Quali sono quindi i criteri che vi fanno prendere in considerazione un artista?
Mi piacciono davvero molte tipologie di musica diverse e non voglio limitarmi a un genere particolare. Poiché faccio io stesso una musica un po’ “strana”, sono in questa rete in cui gli approcci sperimentali creano forme originali e variegate senza preoccuparsi troppo dei generi. Ciò che conta sarebbe piuttosto uno stato d’animo, un modo di fare, un modo di posizionarsi nella creazione, nel mondo (a volte al di fuori di un certo mondo). C’è qualcosa di abbastanza politico in questo. Le decisioni di edizione possono essere prese in diversi modi. Principalmente, si tratta di incontri. Sono spesso in tour, vedo molti concerti, incontro musicisti. Molte cassette o dischi si sono decisi in momenti del tipo: “Mi è piaciuto molto il tuo concerto, ti andrebbe di fare una cassetta sull’etichetta?” Mi capita anche di contattare un musicista il cui lavoro apprezzo molto, ma che non conosco, per proporgli di fare una cassetta. È un formato che ha il vantaggio di essere spontaneo. E talvolta ho la fortuna che accetti. A volte ricevo proposte che mi prendo il tempo di ascoltare. Quindi vedo se funziona o no. Inoltre, ci sono anche le coproduzioni. Questo è più per i vinili, poiché costano cari da produrre. Siamo tutti una rete informale di piccole etichette che si uniscono per sostenere un progetto, per far esistere un disco che non potremmo portare avanti da soli. Questo ha anche il vantaggio di essere abbastanza efficace in termini di diffusione geografica, con ognuno che recupera una piccola scorta di dischi e li diffonde intorno a sé.
Sia dalla quantità di esperienze diverse che si trovano nel vostro catalogo, come dal fatto che sul vostro sito segnaliate varie altre label, mi sembra che La Republique Des Granges possa essere considerato un punto di riferimento dell’underground francese. Quanto diresti sia viva la scena per chi propone ‘altre’ musiche?
Si potrebbe vedere l’etichetta come un punto di riferimento tra gli altri, una porta d’ingresso verso altri riferimenti. Si avrebbe una sorta di tessuto informale, di rete di affinità. Ci sono molti micro-label DIY più o meno attivi. Non ho molti punti di confronto con ciò che accade altrove in Europa, ma c’è di fatto una forte dinamicità in Francia. Molti musicisti in tour, persone motivate a organizzare concerti in cantine, soffitte, squat… In città come in campagna. E le forme sperimentali, “altre”, sono sempre più accettate, comprese (anche se ovviamente interessano solo una piccolissima minoranza, rimangono di nicchia).
Tutto ciò avviene con pochissime risorse. Il RSA, che è l’indennità minima di reddito in Francia, aiuta sicuramente in parte. È una sorta di sovvenzione indiretta. Tutto ciò è molto fragile, e il periodo di COVID non ha aiutato, ma si tiene. A livello istituzionale, è un po’ più complicato, anche se abbiamo ad esempio la sala degli Instants Chavirés a Montreuil che fa un lavoro eccezionale dal 1991.
Un grave problema in Italia riguarda gli spazi per la musica underground: sempre meno dopo gli anni di COVID e sempre con problemi finanziari che rendono difficile rischiare nelle programmazioni. Lo vedi come un problema comune?
È vero che il COVID ha interrotto dinamiche, lo stesso fenomeno si nota in Francia. Ciò ha indebolito il tessuto associativo. Abbiamo perso l’abitudine di vederci, di fare serate, progetti insieme… ma si sta ricostruendo pian piano. Ad esempio, so che nei luoghi di concerti, teatri e cinema, solo ora l’affluenza sta tornando a livelli pre-pandemia. Parallelamente al COVID, stiamo attraversando altre crisi, di natura più politica, con un irrigidimento sulle questioni del lavoro, delle forti disuguaglianze, dei canoni di affitto spesso molto costosi… Ciò può rendere cauti alcuni organizzatori e rendere più difficile trovare luoghi per la musica (soprattutto in città), retribuire gli artisti in tour.
Dal sito ho visto che possedete anche uno studio! Immagino sia un po’ il fulcro di tutta la vostra attività, e che vi dia un controllo sulle opere e una libertà d’azione che tanti non si possono permettere.
Lo studio è un po’ come la label, l’ho fatto prima di tutto per necessità, per la mia attività musicale personale. E un po’ come per la label, questo strumento ha cominciato a servire gradualmente per registrare altri musicisti. Inoltre, è un altro fattore importante nella scelta di alcune pubblicazioni del label. Molti dischi sono stati registrati, mixati o masterizzati a casa. Spesso, all’inizio non è prevista la mia partecipazione come label. E alla fine della sessione, mi capita di proporre la mia partecipazione per la pubblicazione. Voglio precisare che viviamo in un’epoca in cui è possibile registrarsi con pochi mezzi e con una qualità del suono molto buona, e questa libertà d’azione è abbastanza semplice da acquisire al giorno d’oggi. Lo studio a casa è ancora molto modesto. Ma sì, è uno strumento fantastico.
C’è qualche artista italiano che conoscete o avete visto dal vivo che vi piacerebbe pubblicare?
Li ho visti in concerto molto tempo fa e ho molto apprezzato il loro lato diretto e introspettivo: direi Father Murphy. E poiché due sono sempre meglio di uno (come dice Steve Vai), direi anche Giuseppe Ielasi.
FUSILLER – “”Arcanes Stratégie”
Nove brani in cui vengono esplorate le possibilità stilistiche dei sintetizzatori, perdendosi in muri di suoni e vocals noise che non lasciano spazio all’ascoltatore di seguire una narrazione, quanto di essere completamenti immersi nel mondo sonoro proposto da Fusiller.
RIEN VIRGULE – “La consolation des Violettes”
Il trio voce, batteria, synth e sampler in cui milita il nostro Manuel confeziona un doppio LP formato da undici brani in cui esplorano i territori liminari alla forma canzone, coniugando sperimentazione e melodia. Atmosfere cupe, e un po’ sognanti, come quelle di un incubo.
JULIA HANADI AL ABED – “Partir en Fusée”
Una cassetta che ho ordinato quasi subito dopo l’uscita; Julia Hanadi Al Abed ci propone un album di composizioni di musique concrète e live electronics in cui spazi d’ascolto reali e immaginari si fondono, con un forte senso di narrazione che permea le 7 tracce qui contenute.