Share This Article
Sembra davvero ieri. Con gli States alla ricerca di una nuova tendenza in un filone, come quello dell’elettronica più mainstream, mai così sfiatato in Nord America. Così non si faceva altro che parlare della famigerata chill-wave. Da altri etichettata come glo-fi o pop ipnagogico o peggio bedroom lo-fi. 2007, l’Anno Domini, Ariel Pink tra i precursori. E Panda Bear degli Animal Collective in parte padre putativo con il suo “Person Pitch” dei vari Toro Y Moi, Memory Tapes, Neon Indian, Com Truise, Brothertiger, Race of Robots, Warm Ghost, Blackbird Blackbird fino alle filiazioni quasi lo-fi folk di Work Drugs e Ducktails.
Una scena fatta di 20-25enni da aree prevalentemente periferiche. Musicisti modesti, bambini degli anni ’90 poi drogati di anni Ottanta, tastiere giocattolo e synth. Tra queste atmosfere naif, sghembe e trasognate da happy hour spietatamente hipster un caso molto singolare e apprezzato è stato quello di Washed Out. Ernest Greene non era nemmeno giovanissimo per gli standard, addirittura 27 anni. Appena trasferitosi dal South Carolina alla più prolifica musicalmente Georgia, si fa conoscere con il primo EP. “High Times” promette bene, ma è “Life Of Leisure”, un anno dopo, a sdoganare il fenomeno grazie al pezzo di lancio “Feel It All Around”.
Il taglio dato da Greene a questo filone elettronico a bassa fedeltà tra psych e synth-pop è molto più intellettualoide ed elegante. Passati i tempi del nerdismo da cameretta – il suo primo gruppo si chiamava proprio Bedroom – il buon Washed Out offre un elettronica downtempo estremamente eterea e da lounge bar sui generis. Perfette colonne sonore per i postumi del giorno dopo tra echi che annientano i muscoli e giochi sintetici da far sognare a occhi aperti. Dopo un altro enigmatico EP, “Untitled”, finalmente la prova sulla lunga distanza. Perfetto tempismo per un’uscita su Sub Pop a ridosso delle settimane più calde e il non più giovane Greene non fallisce. Le essenziali panoramiche electro-pop sono sempre evanescenti come ci si aspetta e pretende, ma hanno un’andatura meno narcotizzante degli esordi. Il background di producer amatoriale di basi hip hop si salda alla vena da songwriter che Greene sembra maturare a vista d’occhio. Il resto lo fa la produzione di Ben Allen, l’alchimista del capolavoro degli Animal Collective “Merriweather Post Pavilion”, che un po’ a sorpresa non eccede nella spazialità delle sonorità. E’ quasi il ritmo e il groove a guidare le tracce, soprattutto quando salgono i bpm.
Così “Soft” ed “Echoes” si candidano per dei remix molto meno autoreferenziali di quelli assegnati agli affini Teen Daze e Toro Y Moi. “Amor Fati” e “Eyes Be Closed” potrebbero lanciare i sofisticati vaneggiamenti orinici di Washed Out in scenari mainstream cari ai Notwist. Meno assimilabili rispetto agli EP agli Studio e quasi vicini ai Gorillaz per un gusto vagamente caraibico. Poi con “Far Away” e “Before” finalmente riaffiorano gli allucinati fantasmi di questa insolita chill-out per animi fragili e solitari. “A Dedication”, poi un inaspettato finale al piano molto classico, da Beck in versione festa dagli amici di amici.
Così Washed Out mette su famiglia, saluta la bassa fedeltà e dà la definitiva sferzata qualitativa alla versione contemporanea più originale e accattivante di quello che negli anni ’80 era rappresentato dal dream-pop.
Ma è pur sempre estate, e da “Eyes Be Closed” in poi si scivola in una lunga e introversa odissea psico-balneare.
81/100
(Piero Merola)
26 Luglio 2011