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Giugno è da poco terminato e il giochino che quasi ogni estate proponiamo – selezionare il miglior album o la miglior canzone che ha visto la luce fino a questo momento nell’anno solare in corso – non poteva mancare. Questa volta è di album che vi scriviamo. Suggestioni, proposte in fieri e cantieri aperti – in fondo non lo sono, forse, anche le classifiche di fine dicembre? – in un ordine prettamente alfabetico è ciò che Kalporz anche quest’anno vi propone, per stimolare le vostre curiosità e per non far mai venir meno argomenti sui quali dibattere.
Bar Italia – Tracey Denim (Matador)
Il primo disco “serio” dei londinesi Bar Italia – ma terza release nei fatti – li catapulta nel mondo dei grandi, se è vero che la Matador non si è lasciata scappare brani come “punkt” o “changer” dove la radice indie trova un afflato pop alla maniera dei Dandy Warhols o dei Mansun. La band guidata dalla vocalist romana Nina Cristante insieme ai chitarristi Jezmi Tarik Fehmi e Sam Fenton ha unito in “Tracey Denim” un approccio minimale a ritmiche scure ma danzabili, creando una raccolta dinamica e molto orecchiabile in quindici canzoni prodotte da Marta Salogni, con in testa la lezione di New Order, The Smiths e Throwing Muses. (Matteo Maioli)
Nabihah Iqbal – Dreamer (Ninja Tune)
Si può già oggi scrivere di dischi come se fossimo alle prese con il bilancio di fine anno, dimenticandoci per qualche minuto che invece di dicembre è giugno? La risposta è sì, se il disco in oggetto è “DREAMER” di Nabihah Iqbal – o almeno questo vale per me. Il secondo album dell’artista di origini pakistane ma da tempo residente a Londra, dove è impegnata in mille progetti artistici – dalla curatela di festival alle performance di arte contemporanea – per quanto mi riguarda è una delle sorprese dell’anno: quarantaquattro minuti che riportano in vita, con una ritorvata energia e ispirazione, derivazioni e influenze della miglior musica britannica, dal dream pop allo shoegaze, dall’elettronica alla rave. Un approccio volutamente nostalgico, frutto di un percorso artistico a ritroso che Nabihah Iqbal ha intrapreso dopo alcune sfortunate vicessitudini personali (il furto di tutto il materiale presente nel suo studio, il trasferimento in Pakistan per assistere il nonno malato), che hanno spinto l’artista a ripartire da zero. Back to basics: così è nato “DREAMER”, un disco che usa l’esplorazione musicale come un rabdomante usa il suo bastone: per (ri)trovare qualcosa di prezioso. (Enrico Stradi)
Nyokabi Kariũcki – Feeling Body (Cmntx Records)
Album di debutto della giovane musicista kenyota residente negli US Nyokabi Kariũki, scoperta e largamente apprezzata lo scorso anno con il suo EP “peace places: kenyan memories”. Dopo un’esperienza di long covid che l’ha accompagnata per tutto il 2021, Kariũki affida alla propria arte una profonda riflessione sulla percezione del proprio corpo, sia in relazione alla malattia che all’interno della società. Un collage di voci, field recordings e suoni acustici nel quale perdersi per poi dialogare. (Matteo Mannocci)
Marlene Ribeiro, Toquei No Sol (Rocket Recordings)
«È una grande foschia nebbiosa di nostalgia, giocosità, autoriflessione e speranza»: così Marlene Ribeiro (già parte del collettivo GNOD) ha descritto Toquei No Sol, suo ultimo album e debutto discografico a suo nome (e non come Negra Branca) e il disco è quanto di più profondo abbia mai prodotto la musicista portoghese. Le sei tracce, registrate tra Irlanda, Galles, Portogallo, Madeira e Salford, sono un affresco sonoro etereo, ipnotico, policromo, dalle tante sfaccettature: dream-pop, psichedelico, sperimentale. (Monica Mazzoli)
The Waeve, The Waeve (Trangressive)
È un disco più invernale che estivo, e per questa ragione l’ho un po’ accantonato, ma è stato il primo innamoramento del 2023: panorami suggestivi, colti, inusuali fanno da sfondo alla voce di Rose Elinor Dougall e alle variazioni di Graham Coxon, chitarre pungenti si mischiano con sax ubriachi per un risultato che può richiamare alla mente i migliori Portishead e la più intrippante psichedelia pop inglese. Un’alchemia magica che si può ricreare solo poche volte e nel caso degli Waeve è pura telepatia, psichico flirtare tra melodie ispirate e ballate dal sapore eterno. (Paolo Bardelli)
Yo La Tengo – This Stupid World (Matador)
Siamo a pochi minuti dall’inizio di This Stupid World e, ancora all’interno del brano d’apertura del disco, “Sinatra Drive Breakdown”, gli Yo La Tengo sono già immersi anima e corpo in un vortice alienante e catartico di disperazione e di incessante ricerca di una qualche verità o salvezza. Il sound così unico e singolare del gruppo scolpisce con una disarmante spontaneità il brano, guidato dalla voce di Ian Kaplan a sua volta trascinata dalla sua chitarra e dal graffiante apporto di Georgia Hubley e di James McNew. «You’re looking at me like I’ve lost my mind / Like I’m hanging by a thread», afferma Kaplan nella distorta e fumosa “Tonight’s Episode”, intergalattica discesa negli anfratti più inesplorati della psiche dei suoi autori. Con This Stupid World gli Yo La Tengo pubblicano una gemma di un livello che nella loro discografia mancava almeno da un decennio. Raramente la band era riuscita a fondere con così abile e spontanea maestria l’alternative rock, il noise, il pop lisergico dei ‘90s quasi al confine con lo shoegaze e persino il folk. Dagli arpeggi sognanti della bucolica “Aselestine” alle epifanie transeunti di “Miles Away”, che la voce di Hubley conduce fino a terre inesplorate, dal caos primordiale del brano che dà il titolo al disco al cantautorato poetico e ritmato di “Apology Letter”, This Stupid World è l’ennesima conferma di una band che non ha più alcunché da dimostrare. (Samuele Conficoni)
Young Fathers – Heavy, Heavy (Ninja Tune)
Tra “Cocoa Sugar” e “Heavy Heavy” è passato un lustro. Tanto, secondo gli standard moderni, nulla per riprendere le redini di una traiettoria artistica già in grado di accarezzare vette importanti. “Heavy Heavy” prosegue quel cammino senza rinunciare all’eredità black in senso lato, ma addirittura arricchendo una proposta che, accanto al nucleo (neo-)soul, conserva un forte afflato hip hop. Vagiti gospel e sviluppi elettronici che ammiccano al trip hop, oltre a robuste venature psych, sono ulteriori elementi di colore di un sound che riesce, comunque, a essere spesso anche irresistibilmente pop. (Piergiuseppe Lippolis)