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Si scrive Devendra Banhart, si legge Cate Le Bon. La produzione della cantautrice britannica plasma in maniera quasi totale il nuovo album di Devendra, il suo undicesimo, e i suoni diventano spettrali, scheletri impalpabili di synth atmosferici (“Feeling”) e di manifestazioni cinematiche che albergavano gli Eighties. È impressionante l’impersonificazione della De Bon della proposta di Banhart visto che “Flying Wig” suona esattamente come “Pompeii” (2022), l’ultima fatica di Cate Le Bon. E ciò, si capisce, non è un difetto visto che “Pompeii” è stato, ed è, un signor album.
Il basso domina, qua e là fa capolino qualche fiato (nel finale di “Fireflies”), i pianoforti sono elettrici stile David Sylvian, elementi di stampo leboniano, mentre la scrittura di Devendra asseconda questa trasformazione pur mantenendo qualche sprizzo psichedelico (le cantilene sydbarrettiane in “Nun”) e melodie tra “The Wall” e una canzone di Natale (“Charger”). Banhart compie una metamorfosi ma non è da bruco a farfalla, ovviamente, è “solo” la scommessa di reinventarsi e andare a coltivare un altro orto, che il proprio non fa (quasi) più frutto. In brani come “Twin” ci immaginiamo quindi Devendra trasfigurato in un Bryan Ferry dark che vuole essere sia pop che alternativo in una sorta di eleganza cantautorale desueta e dai caratteri asfittici e di perfezione formale. Non proprio l’immagine di hippy che eravamo soliti associare all’artista di stanza a Los Angeles.
Per quanto ci riguarda, lunga vita ai cambiamenti: stavolta Devendra ci ha stupito davvero e oramai crediamo possa farlo, con cotanto stravolgimento, anche in futuro.
75/100
(Paolo Bardelli)