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Al secondo atto il Teatro si presenta con l’abito buono e pare difficile stabilire se sotto giacca e cravatta ci sia ancora la maglia dei Neurosis. In scena questa volta c’è ancora più amore (amaro, deluso, inappagato) e molta più sdegnata schiettezza nel raccontarlo e nell’intrecciarlo col disprezzo per la situazione sociale e politica (“Non posso più sopportare/ i miserabili al potere/solo le mie disperazioni mi fanno sentire/ ancora vivo/ e ho fame d’amore/ e ti desidero”).
Zeppo di citazioni, “A Sangue Freddo” si confronta con la canzone italiana e Tenco viene evocato ancora in episodi commoventi, senza rinunciare al motore noise dei Jesus Lizard. Meno devastante è l’impatto sonoro, ma tanto curato da rivelarsi solo dopo diversi ascolti proprio mentre le linee vocali difficili, a volte improbabili, assumono corpo e trovano posizione nella stratigrafia sempre più complessa dei brani. Un disco politico e privato come un romanzo di Fenoglio, che quindi sa crescere dopo ogni ascolto fino a confrontarsi col precedente ed è difficile stabilire quale sia migliore.
Di sicuro c’è che il Teatro sembra intenzionato a proseguire nella propria direzione affinando il linguaggio, ampliandolo persino con l’elettronica e prendendo posto tra le poche voci rimaste da ascoltare nell’Italia minzoliniana moderna.
Se in redazione mi concedessero la facoltà di mettere un voto, un nove non sembrerebbe affatto regalato.