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E con questo ne hanno fatti cinque di album in studio. Cinque escludendo il vecchio, primissimo EP e il disco d’inediti dal vivo (“11.11.11”) pubblicato quasi en passant pochi anni fa. In sostanza dal 2007 gli MGMT non si sono sfiancati ma neanche sono stati con le mani in mano. Infatti la loro discografia e la traiettoria che hanno disegnato sono più dinamiche ed elaborate di quanto suggerirebbe il numero di lavori. Anzi, quello del duo VanWyngarden & Goldwasser è un viaggio discretamente avventuroso: salparono con un disco che è quasi storia (“Oracular Spectacular”) per poi intraprendere un percorso per la tangente (lo spiazzante “Congratulations” e poi l’omonimo). Di seguito sono andati all’arrembaggio del pop anni ’10 con vigore rinnovato (“Little Dark Age”). E “Loss Of Life”, la prova odierna è una specie di approdo abbastanza inedito per alcuni versi, molto familiare per altri. Sicuramente è il disco più intimista dei cinque, non eccessivamente spericolato, forse. Verrebbe da dire addirittura contenuto ma così diremmo un’inesattezza perché nelle sue trame acustiche “Loss Of Life” conserva il dinamismo psych pop dei momenti migliori di questa breve/lunga storia.
A così pochi giorni dall’uscita risente di quel fenomeno che investe questi album di 45 minuti che hanno già i quattro o cinque singoli di pregio pubblicati, postati, condivisi e canticchiati (prendi “Nothing To Declare”, per dire). Quando il disco intero viene pubblicato non ti puoi sbalordire, a meno che non sia un disco di 10 potenziali singoli. E “Loss Of Life” non lo è. Ecco, la misura di quest’album è un po’ qui, tra quanto di bello si sapeva mesi o settimane prima e quanto di dignitosamente gradevole si può trovare nell’altra metà del lavoro. Quindi in tutto questo discorso c’è il rischio di andar quasi a bullizzare scioccamente quella serie di ballate che attenuano la fiamma ma non la spengono (quest’ultimo aspetto glielo riconosciamo).
E le tracce forti, come detto, attestano il valore di una band che è tutt’uno con il proprio marchio sonoro prescindendo dall’apparato strumentale, dalla produzione, dall’umore o dalla voglia di raggiungere una fetta di pubblico largo o uno spicchio di mandarino. Parlano coerentemente la stessa lingua anche quando la strutturano in modi diversissimi. E quindi accade (ormai ci siamo abituati) che risultino comprensibili sia nelle ridondanze che nelle asciuttezze. Il pop limpido di “Mother Nature” non è poi mica così distante dal più dadaista dei momenti di “Congratulations”. Quando in “Dancing In Babylon” si sovrappongono le voci (ospite è la prezzemolina “Christine & The Queens”) sulle note del piano, c’è il pericoloso sentore di una “ballata di Meat Loaf”, poi la cosa prende una piega diversa e s’innesca una canzone più dinamica del previsto con un finale a spirale.
Sarà uno schema abbastanza reiterato, questo dei finali di canzone che si svincolano dal loro nucleo ma funziona tutte le volte che i due ricorrono a quella che diventa una specie di formula. Penso inevitabilmente al finale di “Nothing To Declare” dove la musica e il video disegnano questo movimento rotatorio morbido ma a emotività crescente. Da far girare piacevolmemente la testa.
72/100
(Marco Bachini)
*immagine in evidenza tratta dal video di “Mother Nature”