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Sono letteralmente dei rigurgiti industriali quelli che aprono questo lavoro e che ci risputano fuori i Throbbing gristle, tornati dopo 26 anni non si sa bene per quale motivo: forse solo per il piacere di ridisturbare le frequenze; forse per ricordare a Trent Reznor dove sta(va) di casa l’industrial; oppure ancora per ricordare a noi ciò che avvenne nel 1976 a Londra, quando P-Orridge e compagni rifiutarono le lusinghe del progressive da un lato e quelle del punk dall’altro, ma non prima di aver rubato ad entrambi quanto gli serviva: l’attitudine alla sperimentazione del primo si deforma attraverso il cinismo urbano londinese e il risultato è un’ode alla Dea Fabbrica, non molto diversa oggi da quella di trent’anni fa.
Rumorismo di fondo, continue dissonanze, suite (suite?) interminabili e seriamente interminate, ritmiche ripetitive e, più che alienanti, già belle che alienate. E’ il suono che farebbe il cervello di uno Charlot operaio una volta lasciatisi alle spalle le catene di montaggio e gli ingranaggi giganti di Tempi Moderni. Questa tardiva seconda parte del loro progetto – che comunque ci rassicura essere “Non Infinito” – è un incubo per le orecchie e per la mente, specie quelle del non avvezzo: alla faccia delle reunion di convenienza, e di coloro che dopo decenni sono di nuovo in it for money, i Throbbing Gristle tornano a combattere proprio questa musica sempre più seriale con una versione (appena) aggiornata del loro serialismo musicale.