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In mezzo a una nebbiosa prateria di cori e archi Nick Cave prende le mosse e viaggia, affiancato dal fedele compagno di viaggio Warren Ellis, che è co-produttore del disco insieme a Cave stesso, in un album che ha al suo interno una collaborazione con Colin Greenwood dei Radiohead, la chitarra di George Vjestica e la batteria del navigato Thomas Wydler all’interno di un gruppo affiatato e sempre sul pezzo che arriva a raggiungere i nove elementi.
Da queste sfumature è composto Wild God, il nuovo disco del cantautore australiano e dei suoi Bad Seeds, il capitolo discografico che segue Ghosteen del 2019, anche se in mezzo Nick Cave sia da solo sia insieme a Warren Ellis ha pubblicato parecchi dischi sia in studio sia live. Tutti elementi centrali nel disco, ben sintetizzati e valorizzati nelle prime recensioni che sono state pubblicate finora, come quella apparsa per The Arts Desk e che ho parzialmente ripreso, traducendone alcuni brevi passaggi, nel cappello introduttivo.
È un disco, Wild God, che non abbandona del tutto i toni cupi e le riflessioni malinconiche e tragiche di Skeleton Tree (2016) e del già citato album che lo ha seguito, ma che sa, nella maggior parte dei momenti, allontanarsi da essi lasciando spazio a tonalità più luminose e, sorprendentemente, anche alla gioia. “Joy” e “Conversion”, sospesi tra questi concetti, una possibile rinascita interiore, una ritrovata speranza e un’inattesa conversione, sono i titoli, infatti, di due brani. Particolarmente intensa è la ballata oscura “Long Dark Night”, mentre il pezzo d’apertura, “Song of the Lake”, è in qualche modo richiamato dal punto di vista concettuale ma anche musicale nella conclusiva “As the Waters Cover the Sea”, con intensi riferimenti religiosi e un fitto e raffinato mosaico sonoro. Pubblicato su PIAS, il diciottesimo album in studio di Nick Cave e dei suoi Bad Seeds è l’ennesimo capitolo raffinato e poetico di un autore che, nella sua carriera, sembra non saper attraversare momenti di scarsa ispirazione.