Domenica scorsa, 19 gennaio, nel pomeriggio nella città di Perugia si è tenuta la commemorazione funebre per la morte di Paolo Benvegnù. Una domenica di un sole freddo, fatta di molte persone silenziose radunate in fila davanti ad un pccolo teatro. Prima una ventina, poi 50, poi centinaia. Persone che si abbracciano, sorridono, e sconosciuti che si incontrano, che hanno fatto molto chilometri per essere lì per un paio d’ore, per ricordare Paolo. Ad Esempio una persona che non frequento abitualmente ma che mi contatta per fare una macchinata da Ravenna perché immaginava che anche io volessi andare, un amico, una ragazza che da Chieti organizza il suo pomeriggio al minuto per riuscire a rientrare in tempo e andare a fare il turno di notte, una conoscente con cui aveva scambiato qualche chiacchiera, una coppia di “seguaci” che lo hanno sempre raggiunto ai concerti in giro per l’Italia… gli Scisma, che compaiono come una visione sul palco, illuminati da una fiamma che si era accesa molti anni prima “incasinando la vita” di dei giovani che volevano “fare i musicisti”. Paolo era un uomo e un musicista discreto che ha lavorato come un artigiano di bottega per oltre 30 anni, forgiando piccole e maestose canzoni, entrando in punta di piedi dallo stereo al cuore. Fuori dal Teatro del Pavone di Perugia c’erano persone, spesso fra loro sconosciute ma appartenenti ad una stessa isola, come un piccolo paese i cui confini sono segnati da gesti delicati e la volontà di dire piano, un’ultima volta grazie, e di fare un applauso.
Paolo Benvegnù ha saputo illuminare quella parte del cantautorato italiano fatto di autenticità, sacrifici e forza di continuare nonostante oramai la musica in Italia abbia preso una direzione totalmente differente. Durante la commemorazione sul palco del teatro sono intervenute molte delle persone che hanno collaborato con lui a livello musicale e artistico come musicisti, fotografi, manager o semplicemente persone che lo hanno conosciuto ai concerti, ma tutti sembrava dicessero le stesse cose, ovvero che con Benvegnù si erano sentite parte di una comunità allargata dove si riesce ad entrare in contatto semplicemente, attraverso un abbraccio, senza compromessi o finti sorrisi. E dove la volontà dei musicisti, degli artisti, delle persone che volevano far parte di questa comunità veniva messa all’opera. Di questa comunità fanno parte i Paolo Benvegnù, così come veniva chiamata la sua band, attraversata da molte persone nel corso degli anni, ma anche da tutti quelli che sono stati toccati dalla sua musica e dal suo modo di fare, diretto e gentile.
Resta un po’ di amaro in bocca sicuramente, per tutto quello che Paolo avrebbe ancora potuto fare ma anche per tutto quel talento che non gli fu mai riconosciuto abbastanza. Ma non deve per forza finire così, perché in Italia, la musica indipendente è una miniera di tesori, e va scoperta e valorizzata. Facciamolo.
(Caterina Cardinali)