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Sono trascorsi ormai diciassette anni dalla scomparsa di uno dei più telentuosi e innovativi virtuosi del basso elettrico, quel John Francis Pastorius III, detto Jaco, che alla metà degli anni settanta si unì al tastierista Joe Zawinul e al sassofonista Wayne Shorter nel più notevole e allo stesso tempo controverso ibrido della storia della musica cosiddetta leggera: i Weather Report. Se già Arrigo Polillo, nella sua celeberrima monografia sul jazz uscita nell’ormai lontano 1975 – dunque nel pieno svolgersi degli eventi – aveva risparmiato unicamente la band di Pastorius dal generale anatema scagliato contro la moda degenere del jazz rock elettrico commerciale nato sull’onda della rivoluzione iniziata da Miles Davis, non sembra oggidì poter essere più messo in discussione, nemmeno da parte dei più ardenti puristi, il valore assoluto di uno stile che, senza perdere in rigore e qualità, contribuì a fare da ponte tra due mondi musicali distanti ma non inconciliabili, portando il jazz alle orecchie di un pubblico prima indifferente.
Ora la Moonjune Records esce con una raffinata antologia che meritoriamente raccoglie, perlopiù da dischi preesistenti, brani nella quasi totalità di Pastorius (fanno eccezione “I Can Dig It Baby” e la title track), interpretati da esperti musicisti di varia estrazione tutti accomunati dalla stima e dalla nostalgia non solo per il grande strumentista, ma anche, e forse soprattutto, per il compositore. Ascoltiamo versioni preziose di classici come “Three Views Of A Secret”, eseguita da Hiram Bullock e Bireli Lagrene alle chitarre e impreziosita dal coro uruguaiano Contrafarsa, “Havona”, che bene testimonia il versante rock dell’ispirazione del bassista statunitense, il purissimo jazz acustico di “Dania”, una affascinante versione di “Punk Jazz”, riuscita performance di Gil Goldstein su diversi tipi di fisarmonica a creare effetti quasi chitarristici, il rock funky jazz di “Teen Town”. Non mancano neppure le rarità: su tutte ci piace segnalare soprattutto “Las Olas” – incisa ai tempi unicamente su un disco di Airto Moreira e Flora Purim – una riuscita interpretazione di Michael Gerber e Toninho Horta che mescola arditamente influenze sudamericane e ricordi canterburiani, specialmente nel delizioso vocalizzo di sapore vagamente wyattiano che apre e chiude. L’acustica “Microcosm” è invece eseguita dagli amici Alex Darqui e Rich Franks (quest’ultimo di fatto responsabile, insieme a Rick Kaydes, della “conversione” di Jaco al basso, dopo l’esperienza come batterista) e dal contrabbasso di John Patitucci.
Nella sua globalità, questo affettuoso omaggio costituisce una riuscita e godibile esemplificazione delle molteplici anime musicali di un artista che, sempre in equilibrio al confine fra i generi, ha saputo assurgere a modello e punto di riferimento per colleghi e semplici appassionati.