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Michael Gira è l’angelo di luce che una volta, ancora di carne, appariva sotto le sembianze di un cigno. In ogni caso parliamo di una figura alata, capace di attraversare venti anni di musica senza mai farsi abbindolare da quel mostro ghignante chiamato comunemente commercio.
“Everything is Good Here/Please Come Home”, sua ultima fatica, ne è la dimostrazione palese: uscito come da tradizione per la Young God Records, ufficiale testamentario degli Swans ma anche produttore di “Scavengers” dei Calla, “Ego:Echo” degli Ulan Bator e soprattutto degli album di Devendra Banhart, straordinaria promessa (certezza?) cantautoriale degli ultimi anni. E proprio la voce di Banhart fa capolino in questo album singolo ma dal titolo doppio: un album che appare quasi criminoso aver visto passare sotto silenzio nella nostra bradipica curiosità musicale.
Il quieto e disilluso attacco di “Palisades” mostra un volto ambiguo, diviso tra il lieve intreccio di xilofono e chitarra acustica e l’esplosione di note cadenzato da un battito secco, sezionante e metronomico. Il dark sembra essere una memoria lontana, ne resta l’etica ma ora siamo di fronte a una ballata riscritta, capace di un refrain epico e sottilmente disturbata da un’angoscia ectoplasmatica resa ancora più evidente da una chitarra acustica abrasiva.
Il capolavoro dell’album arriva quasi subito e risponde al nome di “All Souls’ Rising”, crudele, incessante, rumorosa, ansiogena e frenetica, capace di scendere nelle profondità del suono e costruire una nicchia in antri nascosti, ombrosi e maligni. Gli anni trascorsi non hanno minimamente intaccato la lingua sferzante di Gira che recita “Rupture Here Inside My Mouth, Change Water Into Mercury” e che delinea un blues catartico e malato, corrotto dall’ossessione e dall’accumulo di materiali. In pratica tutto ciò che ha perso per strada nel corso degli anni Nick Cave.
In “Kosinksi” torna a farsi sentire la ricerca di una circolarità che mescoli avant-rock e folk grazie all’uso di strumenti quali il flauto, il banjo, il trombone e il violino (suonato da David Coulter dei Pogues), che qui si permette uno splendido assolo appalachiano prima dell’irrompere del coro. Laddove si nota l’urgenza nella ricerca di una pace interiore, come nel tappeto sonoro che anticipa e accompagna “Nations”, si entra sempre in contrasto con una chitarra incalzante, seguendo il principio dell’arte del contrasto. “What You Were”, per pianoforte e voce, è il definitivo canto della desolazione, che anticipa il sabba sonoro della splendida “Sunset Park”, deformazione estrema della marzialità.
Resta da annotare la sarabanda freak di “Rose of Los Angeles”, festival del mostruoso, del bizzarro, e l’angosciosa chiusura di “What Will Come” che inizia con un descrittivismo attanagliante (“The Windows are Broken, and the Dust Lies on the Floor”) e si conclude con la disperata invocazione “God Save Us – from What Will Come”.
Ecco, cosa verrà adesso? Dove ci condurrà Michael Gira? Per adesso godiamoci lo splendore che ci ha regalato e ringraziamo il cielo che esista ancora un’anima musicale come la sua, avversa a qualsiasi compromesso o autocompiacimento.