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“Human Conditions” è il disco che Richard Ashcroft avrebbe dovuto fare dopo lo splendido “Urban Hymns” con cui i Verve chiusero la propria carriera.
Ha quell’inizio impetuoso, la splendida “Check the Meaning”, una ballata straripante di passione e tensione, che si riallaccia alle pagine migliori di Ashcroft, da “Bittersweet Symphony” fino a “Song for Lovers”, con qualche aroma soul che rimanda al Marvin Gaye di “What’s Going On” e un tocco di elettronica.
Questa volta rispetto al precedente “Alone With Everybody”, Ashcroft prosegue per tutta la durata del lavoro a dispiegare il proprio talento, costruendo una serie di ballate orchestrali memorabili che inseguono i Beatles e i Beach Boys, ma anche Marvin Gaye, Gram Parson e Van Morrison.
Così “Human Conditions” finisce per essere quel disco maturo eppure vitale che ci si aspettava da Ashcroft, coniugando canzoni e suoni classici con una sensibilità moderna. E’ un lavoro ambizioso negli arrangiamenti orchestrali, nell’incedere classico, nei testi, ma mai pretenzioso. La dimostrazione si trova in brani come “But It Bottles” o “Science of Silence”, che disegnano melodie limpide e nitide che affiorano dal suono degli archi. Oppure si trova in esempi di perfetto equilibrio pop come “Man On A Mission”, fresca e vibrante con un finale gospel.
“Human Conditions” è pieno di canzoni come queste in cui il ritmo è basso e affiora un inconfondibile gusto malinconico. Soltanto “Bright Lights” alza l’andatura, puntando verso i migliori Rolling Stones, grazie anche alle tablas di Talvin Singh, uno degli ospiti illustri del disco insieme a Chuck Leavell.
L’anima intima del disco è però altrove. E’ nell’incedere lento di “Running Away”, nella malinconia che si scioglie in dolcezza di “Paradise”, con un omaggio alla “I am the Cosmos” di Chris Bell, ex-Big Star. Così come non è un caso che la chiusura dell’album sia la splendida “Nature Is The Law”, ancora una ballata avvolgente e preziosa, in cui ai cori si materializza addirittura Brian Wilson dei Beach Boys.