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Avreste mai pensato in vita vostra di pronunciare la fatidica frase “metti su l’ultimo dei Bron Y Aur che ci scateniamo”? No? Ebbene preparatevi a stravolgere le vostre abitudini più trite, perché l’ascolto dell’EP partorito per la sempre fedele Wallace di Mirko Spino – stavolta in buona compagnia di Bar la Muerte, Burp e Dizlexiqa – vi lascerà a bocca aperta. E non solo per i suoni, sui quali torneremo in seguito, ma sul riallaccio tra questi quattro brani e il passato storico della band meneghina: le stasi improvvise e il work in progress continuo che rendeva indimenticabili lavori come “Between 13 & 16” e “Quien Sabe?” sono relegate praticamente alla sola traccia due, quella “M 2424” che comunque nei giri di basso di Fiè e nel progressivo deflagrare di tutti gli strumenti riporta alla mente le sudate jam session rock degli anni ’70, persi tra Black Sabbath, Led Zeppelin e chi più ne ha più ne metta.
Non che questi elementi finora fossero estranei al DNA della band, è sempre stato possibile rintracciarli nelle architetture svilite e slabbrate elaborate dal quartetto, ma ogni volta si aveva l’impressione di trovarsi a che fare con improvvise ondate di memoria: persone cresciute a pane e hard rock che in brevi quanto memorabili “ritorni di LSD” – e non si fraintenda il senso della frase! – rievocavano la propria infanzia inserendo in contesti concettualmente profondamente mutati queste pillole di reminiscenza. Qui invece l’aspetto più umorale ha l’occasione finalmente di venire completamente alla luce, ed è un vero e proprio piacere per le orecchie, ve lo assicuro: e se “Superkraut” non cerca di nascondere minimamente il rimando musicale che darà corpo all’ossatura del brano, con ectoplasmi di Faust che si sparpagliano liberamente per tutta la stanza, “Amanita’s Mood” è un viaggio rapito e seducente tra chitarre lisergiche, una ritmica ossessionante e fragorose cavalcate psichedeliche.
Musica che a questo punto non ha proprio più bisogno di velarsi e si permette addirittura di eludere le gabbie dell’esclusivamente strumentale e di gettarsi nella cover di “Bring it on Home to Me”, estratta dal repertorio di Sam Cooke e per l’occasione cantata da Luca Ciffo – chitarrista come Fabio Cerina, mentre alla batteria siede Marco Mazzoldi, che si diletta anche con il vibrafono -. E proprio quando stai per immaginare un futuro palco centrale dell’Heineken Jammin’ Festival calcato dai Bron Y Aur con tanto di folla osannante sotto a cantare tutti i pezzi ecco che il brano si conclude tronco, tra accenni di fisarmoniche alla Yann Tiersen. Qualche secondo di silenzio totale e poi… ma no, questo non ve lo svelo, sarebbe davvero troppo.
Certo è che se i Bron Y Aur avevano deciso di stupirci ci sono riusciti senza mezzi termini; è vero, è solo un EP e tra l’altro dall’aspetto notevolmente ludico, ma a questo punto sono pronto ad aspettarmi di tutto. E questa, detto tra noi, è una concessione che non faccio al primo che incontro.