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“Lo sai perché odio fare i sequel? – chiedeva spesso John Cleese dei Monty Python ai suoi intervistatori – Perché il secondo episodio dev’essere bello il doppio del primo per essere percepito dal pubblico come all’altezza dell’originale”.
Sta tutta in questa frase la recensione a “Ritornano quelli di…” il cui primo capitolo (recensione) avevamo incensato dalle colonne di questo giornale di pixel. Certo, la capacità sullo strumento e il tiro dei Calibro 35 non sono in discussione, così come la scelta dei brani, in perfetto equilibrio tra pietre miliari e brani oscuri del genere, ma non è questo il punto. Il punto è che continuare a proporre colonne sonore dei thriller o dei poliziotteschi italiani degli anni ’70 è sicuramente un bel modo per sbarcare il lunario, ma alla lunga il giochino stanca. Almeno a livello concettuale, perché ascoltando l’album senza l’assillo di doverne distillare pregi e difetti a uso e consumo dei lettori, il gioco funziona eccome, con splendide tastiere vintage, flauti, chitarre con fuzz scoreggianti da fare impazzire chi ha amato le versioni originali di quei brani. I Calibro 35 ancora si divertono, dall’alto di una maestria che, cosa rara, si infiamma nell’entusiasmo invece di annegare nel mestiere. Però spiace registrare come, ad esempio, rispetto al primo capitolo i suoni siano diventati molto più omologhi agli originali, perdendo per strada quel pizzico di originalità sonora che, con molto rispetto e tanta competenza, avevano inserito nel primo disco.
Esagerando, ma solo un poco, avevamo scritto che Calibro 35 dava l’idea di come avrebbero suonato le colonne sonore dei thriller argentiani o dei poliziotteschi di Maurizio Merli oggi. Il Ritorno di Calibro 35, invece, suona esattamente come suonavano le colonne sonore negli anni ’70, solo con una qualità di registrazione migliore. O forse è solo la maledizione del sequel paventata da quel geniaccio di Cleese.