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La fama raccolta con l’inaspettato successo di “Affinità/divergenze” – inaspettato perché non si trattava certo di un album facile da assimilare – spinge la band ad allargare i propri orizzonti e a firmare per una major.
Se questo produce cambiamenti inerenti alle modalità di gestione della produzione musicale (e allontana i fan “puri e duri” della prima ora), permette altresì a Ferretti e soci di alzare il livello dello scontro ideologico.
Chi si aspettava toni ammorbiditi dalle regole di mercato rimane deluso. Il suono effettivamente risulta ammorbidito, mancando quasi totalmente delle sporcizie dei lavori per l’Attack Punk, ma la lucidità dei testi non viene meno e supporta bene il nuovo stile. Rimanendo sempre attaccati ad un’attitudine punk cocciuta, i CCCP cercano comunque di spaziare, prendendo a spunto e assimilando tutto ciò che li circonda.
Ai divertenti ritmi punk di “Per me lo so” (“sei tu chi può darti di più”) e “Tu menti” (“eri così carino, proprio un amore di ragazzino”), si accostano l’orientaleggiante “Radio Kabul”, che riprende i tempi e le movenze delle danze sufi, attuandole grazie ai toni bassi della sezione ritmica, lo splendido incedere “alla Aznavour” di “Inch’allah – ça va”, dal cantato in francese (in seguito sarà eseguita una versione con la partecipazione di Amanda Lear), e l’organistica “Libera me Domine”, dalle chiare influenze religiose.
Inizia in realtà da qui quel processo di trasformazione che nel 1990 porterà allo scioglimento dei CCCP a favore del nuovo progetto CSI. “I Soviet più l’elettricità non fanno il comunismo” urla sovrastato dalle distorsioni Ferretti nell’intro di “Manifesto”, dopo che l’album si è aperto con una bella versione per batteria e tastiere dell’inno sovietico.
Per quanto possano dirne i detrattori, che vedono dietro la scelta della Virgin uno svendersi al commercio, i CCCP (che per la prima volta si avvalgono di un’altra chitarra, quella di Carlo Chiapparini di Ignazio Orlando al basso, alla batteria e alle tastiere) sono veramente “Fedeli alla Linea”, e lo dimostrano i tre capolavori di quest’album.
“Stati di agitazione” è la riproposta dell’etica che aveva animato la composizione di “Affinità/divergenze”, con i suoi feedback, la batteria impazzita, le distorsioni sovrimposte, la voce di Ferretti quasi senza fiato, schiacciata dal peso del suono, filtrata. Di ben altro stampo le conclusive “Oh! Battagliero” e “Guerra e pace”. La prima è un singolo quasi perfetto, non fosse per un piccolo insignificante particolare: non è altro che una canzone partigiana riletta in una forma punk a sua volta riletta da un’orchestra di liscio. Un po’ confusi? Niente paura, è la normale reazione davanti a questa perla di libertà musicale.
Un po’ sulla stessa falsariga anche “Guerra e pace”, attraversata comunque da uno stuolo di tastiere che la sovrastano e la ovattano. Il testo dimostra ancora una volta la profondità del pensiero di Ferretti, capace di comprimire concetti universali in una serie di slogan montati insieme: in questo caso è la volta di “e noi che siamo esseri liberi, un ciclo siamo macellati, un ciclo siamo macellai, un ciclo riempiamo gli arsenali e un ciclo riempiamo i granai”. Un brano sempre attuale.
Era difficile lavorare ad un album dopo la perfezione stilistica e intellettuale di “Affinità/Divergenze”; il risultato raggiunto dai CCCP è comunque di ottimo livello.