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Strano il viaggio di Cisco. All’inizio, quando i Modena City Ramblers andavano “in gir par la montagna e par la basa ad oc sbaré”, era il 1994, condivideva il microfono con la voce corposa di Alberto Morselli, e tra l’altro era stato reclutato dagli MCR per caso, una sera in un locale carpigiano, dopo essere finito sul loro palco ubriaco a cantare canzoni irlandesi.
A chi – come il sottoscritto – vide gli MCR in quel periodo Cisco poteva sembrare, se non una seconda voce, la voce meno affascinante. Però, come tutti sanno, già dal secondo album Cisco ha dovuto portare da solo la carretta vocale e scenica degli MCR e ha sorpreso chi aveva avuto quell’effimera, iniziale impressione: non era solo la stazza fisica a riempire il palco, ma effettivamente quel carpigiano ci sapeva fare. Creava coinvolgimento, e non fregava nulla se “In Un Giorno Di Pioggia” cantata da lui non era la stessa cosa. Oggi – dopo lo strappo più importante, quello di Rubbiani (che scriveva quasi tutti i pezzi) – gli MCR devono fare i conti anche con il fantasma di Cisco. Sì perché questo esordio solista dal titolo “La Lunga Notte” darà del filo da torcere al prossimo album del gruppo di Massimo “Ice” Ghiacci, che dovrà dimostrare davvero di che pasta è fatto senza la sua icona-simbolo.
Cisco trova una vena inaspettata, con la preziosa produzione di Magnelli e qualche compagno che ritorna (Rubbiani firma la malinconica gemma “Diamanti E Carbone”, Cottica scrive l’etnomanuchao di “Eroi, Supereroi”, Ghiacci suona il basso in un paio di brani), donandoci pezzi semplici, lineari, dotati di una sincerità fuori dal comune. Se al primo ascolto l’apparecchiatura musicale sembra fin troppo scarna, basta poco per accorgersi che è tutto congeniale a quella schiettezza sottesa, alla serenità salvifica di canzoni come la titletrack o “Il Prigioniero”, alla mestizia lucida di “Come Se Il Mondo” e della cover in italiano (testo di David Riondino!) di “Sisters Of Mercy” di Cohen.
Cisco perde solo qualche passo nei testi, troppo legati al citazionismo (gli aforismi di Best, l’articolo di Sepulveda alla base di “Venite A Vedere”), anche se si salva talvolta mostrando di sapersi non prendere troppo sul serio (dopo la classica invettiva, più scontata di un programma di Pippo Baudo e più allineata con il sistema di un discorso di un democristiano – è chiaro che ad essere qualunquisti si fa il gioco di chi comanda… – de “Il Prigioniero”, dove Cisco ci elenca una serie di luoghi comuni che così comuni non avevamo sentito da un pezzo: “troppo potere alle banche, troppo potere all’economia, troppo potere all’informazione”, dopo questa inutile denuncia – dicevamo – si smarca per fortuna con un “troppo potere ai cantanti”).
Era scontato che si proponesse come il Manu Chao italiano, vista l’analogia della sua parabola con quella del cantante dei Manonegra, e invece Cisco relega questa tentazione a soli due episodi (“Zelig” e la già ricordata “Eroi, Supereroi”). Era meno probabile che si ispirasse alla durezza vitale di Johnny Cash, e invece lo fa (“Questo E’ Il Momento”, “Come Se Il Mondo”) misurandosi in maniera più che dignitosa con un tale alto riferimento.
Insomma, negli ultimi anni abbiamo assistito a solisti che uscivano dai loro gruppi belli carichi e baldanzosi e dopo il primo album-flop tornavano con la coda in mezzo alle gambe a suonare dal vivo quasi solo pezzi della loro vecchia band. Questo è il non-augurio che facciamo a Cisco: che non si trovi fra un anno a dover replicare per l’ennesima volta “Bella Ciao” e “Ninnananna”. Con questo album ha posto le basi per non fare quella fine.