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Come dicono gli americani, Dr.Dre is back on map. “Chronic 2001”, pensate, è solo il secondo album solista, e “Chronic” risale addirittura a quattro anni fa (errata: otto anni fa, n.d.r.). Eppure il buon dottore è considerato il più grande di sempre, o uno dei tre o quattro più grandi, nell’hip hop. La ragione è semplice e banale. Dre è un produttore, inventa i suoni, ammaestra il beat per l’mc di turno. Fa anche rime, appunto, ma non è il suo mestiere. E’ capace di rappare, eccome se lo è, ma non è un maestro. Invece ai piatti è come la Ferrari, gli Abbagnale o Yuri Chechi: devi per forza fare il tifo per loro. Sembra una sviolinata, ma chi scrive è un sostenitore e forse un ultrà del groove di New York. Quindi, fidatevi. Se un east-sider vi canta le lodi dell’inventore della west coast, significa che quel signore è davvero fuori scala.
Ora che abbiamo inquadrato il personaggio possiamo dedicarci all’album. Il titolo è, guarda un po’, “The Chronic 2001”. Chronic è un altro modo per dire marijuhana, uno dei tanti dell’hip hop, nemmeno il più popolare. Perché chronic innanzitutto richiama Dr Dre, che per questo album ha introdotto una novità che sa di rivoluzione. Ma ne parleremo più giù. Per ora registriamo che “2001” è pieno di featuring. Logico, vista la professione di produttore del titolare. Era stato così anche per “Chronic”, che battezzò Snoop Dogg (allora ancora Snoop Doggy Dogg). Snoop è presente anche qui, ma a questo giro Dre schiera nuovi talenti dalla sua scuderia. Ai vecchi amici (c’è anche Nate Dogg) alterna Xzibit, Kurupt, e la superstar Eminem, allora non ancora superstar. Altre due parole per registrare tra i feat anche Mary J Blige, Defari, Hittman e altri ancora. Concludo qua la parte cantata dell’album, confessando che Dre al mick non mi piace. Non mi piace la voce, non mi piace come è inquadrato e perfettino. Un buon mc, nella media, ma a molta distanza dai ragazzini con cui si esibisce.
Siete ancora qua? Bene, temevo di avervi dispersi tutti, con l’ultimo delirio qui sopra. Ora è venuto il momento di raccontare perché, dopo tanto martellare, ho comprato questo cd. E perché proprio non ne potete fare a meno! Inutile parlare della raffinatezza tecnica del nostro uomo. Ci si aspettava niente di meno della perfezione, e questo abbiamo. Invece la trovata del maestro è un’altra, e importantissima. Il flow consueto, il beat personale, il marchio della musica di Dre stavolta sono stati ottenuti senza campionamenti, e se non è una rivoluzione questa! Ci si poteva aspettare qualcosa di simile da giovani rapper eclettici, non dal trentacinquenne inventore del g-funk. Nessun campionamento e molti musicisti, chitarre, tastiere, basso e batteria. Eppure il suono è proprio quello di Dre, riconoscibile come nelle produzioni normali. Il mixer, sia chiaro, fa ancora da capobanda. Ma i beat amministrati dal dottore sono originali. E sono suoi! Lui analfabeta della musica, ma circondato da musicisti con il solo compito di ascoltare i suoi vocaleggi e tradurli in note. Mi spiego, Dre ha lavorato così. Afferrata l’intuizione, passeggiava per la stanza tappandosi le orecchie e canticchiando il giro di basso o la linea melodica che aveva creato. Il musicista più vicino ascoltava e traduceva in note. Le note diventavano suono e quindi pane per il mixer. E quindi alla mercè di Dre.
Insieme col fido compagno Mel-Man Dre sigilla la decade con un altro manuale del sound di Los Angeles. L’influenza sulla scena se l’era già assicurata con Eminem. “Chronic 2001” è solo un altro classico dopo “Chronic”, il secondo su due… “Still Dre*” il singolo, e l’occasione per ritrovare lo Snoop di inizio carriera. Poi Eminem con “Forgot About Dre”, nel duetto più hot della scena. Ricordate “Guilty Coscience” del “Slim Shady LP”? Stesse skill. E ancora, Eminem con Xzibit a dare una mano al dottore in “What’s the Difference”, la traccia definitiva. In tutto ventidue tracce e sessantotto minuti troppo presto finiti.