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Dr Dre a sedici anni era già famoso per il suo show in una radio di Compton. Oddio, era famoso a Compton, almeno. Appena passati i venti va a produrre per gli NWA, e diventa storia, a Los Angeles. Con gli NWA diventa bravo abbastanza da far arrabbiare tutta una comunità, tutti i newyorkesi che si vedevano sparire il giocattolo dalle mani. Il giocattolo era cambiato, l’aveva cambiato Dre ascoltando il funk degli anni settanta. Il p-funk di George Clinton nelle mani del dottore diventa g-funk, gangsta-funk. E per tutti quelli che pensavano a un treno di passaggio, l’hanno nero è stato il 1992. “The Chronic” esce quasi per natale, a fine anno. Al microfono c’è Dre, e fa il suo dovere, non di più. La rivoluzione, nel rap e nell’hip hop in genere, la fanno le produzioni. Più bravo di lui, come mc, è Snoop Doggy Dogg (ora Snoop Dogg). Debutta proprio in questo album storico, e per un paio d’anni sarà il protetto di Dre, il rapper ideale per il suo beat. Il beat che ha dato identità e autorevolezza all’hip hop della West Coast, al suono della California. Il ghetto della California ha trovato una musica con cui esprimersi, una musica simile ma autonoma rispetto alla New York dei Public Enemy e RUN DMC.
Perché Los Angeles avrebbe dovuto modificare il rap? In effetti, sarebbe bastato farlo meglio dei newyorkesi… Le tradizioni musicali e la società dei ghetti di Los Angeles crescevano troppo distanti da New York, per esserne soddisfatte. New York, per dire, aveva insegnato il rap ai Beastie Boys, bianchi, punkettari e californaini.E vada pure per il reggae, ma il rap sull’Atlantico aveva vene di punk e di elettrofunk. Poco jazz e poco blues, e di questo si occuperanno gli stati del sud. In California invece Dre profilò il groove sul funk, dimostrando la bontà del suo talento e dimostrando che il rap poteva essere cambiato. Non era il caso di rifarsi troppo alla Grande Mela, allora. New York in quegli anni arrancava. Aveva superato la old school a metà degli ottanta, e non era stato un passo da poco. Ma di sobbarcarsi un’altra rivoluzione non era proprio il caso. Il rap moderno, e l’attitudine internazionale dell’hip hop nascono dunque a Los Angeles. Grazie a un’eredità e a maestri importanti, ma è Dre a fare il passo. Da Dre in avanti, se non bastasse la sola influenza stilistica, il rap imparò che poteva vendere. Che poteva essere un’ariete economica per i neri dei ghetti, come era lo sport, il basket e il pugilato davanti a tutti. E se facevi parte di una gang, potevi arricchirti e arricchire il ghetto, la tua gente, grazie ai tuoi dischi. Potevi cioè restare nero emarginato, rifiutare i bianchi e i loro quartieri, il loro stile di vita, l’integrazione e l’uguaglianza. Il gangsta rap racconta di queste cose, ma non è la storia di Dre.
“The Chronic” è un gioiello acuminato e perfetto. Pefetto per l’ispirazione di Dre, e acuminato per la vita che racconta, carnale e violenta. Uno di quegli album che hanno dato al rap l’immagine di musica sessista. Anche se poi racconta il ghetto con voce originale. L’apporto di Snoop incide sull’atmosfera surreale e violenta, cambiando la rabbia in pantomima. Il bollinno Parental Advisory non lo toccherei, sta bene dove sta. Perché Snoop e Dre fanno gangsta rap, violento e grondante come si deve. A chi interessasse un po’ di rap duro ma clownesco, consigliamo i Digital Underground da Oakland, sugli scudi in questi stessi anni. Che saranno stati l’opposto naturale del gangsta-rap, ma ne mantenevano il retrogusto di laida sconcezza. Per non parlare delle produzioni, anche queste tagliate su Funkadelic e George Clinton addirittura prima di Dre. Invece a quelli che cercano la miglior west coast di sempre, e uno dei rap migliori di sempre, consigliamo di tutto cuore “The Chronic”. I singoli sono ‘Nuthin’ But a “G” Thang’, opera di Snoop, ‘_Wit Dre Day (And Everybody’s Celebratin’)’ e ‘Let me Ride’. I primi tre brani dell’album per costringervi a non fermare mai “The Chronic”.