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Ascoltare la grazia con cui vengono pronunciate le parole “Time has told me / You’re a rare rare find / A trouble cure / For a troubled mind”, con cui inizia “Time has told me”, lascia irrimediabilmente incantati.
Quella voce quieta, flebile, sussurrata accompagnata dal suono nitido della chitarra acustica e da pochi altri strumenti, e queste canzoni dolci e strabilianti, dieci autentiche perle ricche di malinconia e suggestioni, aprono un mondo del tutto nuovo.
Pezzi che racchiudono sentimenti profondi e la voce di un uomo. Questa è la semplice ragione per cui risultano così toccanti, perché contengono la vita, le paure, le gioie, le speranze e la poesia di Nick Drake.
Questo esordio dell’artista inglese è così, uno di quei dischi che cambia il modo in cui guardare le cose, che si torna periodicamente a riascoltare, che lascia un segno indelebile.
Accade con canzoni speciali, con gli umori jazz della storia d’amore di “Man in a Shed” o con il tagliente violoncello che dà il titolo a “Cello Song”, in cui Nick canta confessandosi “I’ll just sit and wait and sing my song”.
E ancora colpisce il senso di perdita, di rimpianto che avvolge “Day is Done” e “River Man”, acuito dagli archi arrangiati sontuosamente da Robert Kirby, amico che Nick volle al proprio fianco in questo primo passo.
Mai come in questo caso le canzoni e l’artista finiscono per confondersi le une con l’altro, mai come in questo caso si avverte che l’artista è le canzoni che canta.
Ci si stupisce come, quando uscì nel 1969, pochi si accorsero di questo capolavoro. Eppure l’amara “Fruit Tree”, dove ancora una volta lo spazio è lasciato alla chitarra di Nick Drake e agli archi, custodisce i presagi di quello che sarà il destino ingiusto di questo artista. Nick canta “No one knows you but the rain and the earth”, quasi già conoscesse quello che lo aspetta. Verrà riscoperto ed il motivo è piuttosto semplice.
Queste canzoni senza tempo sono pura magia.