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E’ da qualche giorno che tento di immaginare come possa essere la musica punk durante il sonno. Un frastuono ovattato, un ritmo violento che si fa più lontano. Il giorno che lascia spazio al sogno. Ascoltare il nuovo disco degli Edwood, a tre anni da “Like a movement”, significa camminare malinconici all’interno di un sonno popolato da sogni felici. E, curiosamente, è un percorso al contrario, che parte dal risveglio sorridente di “Tender” – l’aria tersa, qualcuno che ancora dorme al tuo fianco – e termina con le luci basse di “Close”.
Il sonno degli Edwood è un mondo capovolto dove non ci sono più i ricordi dei Notwist di “Neon golden” o dei Giardini Di Mirò di “Punk not diet”, e che parte dalla melodia irresistibile della vecchia “The space between” per costruirsi nuovamente: accordi elementari di chitarra, una ritmica più sostenuta (reale e meno infatuata di frammentazioni digitali) anche nei momenti più quieti, e qualche occasionale accelerazione (la fluidità wave di “Sleep”, la corsa synthetica di “The tube”).
Nient’altro. Gli Edwood riescono a costruire canzoni fatte di niente, ma di una bellezza toccante, dolce, citando qua e là qualche caposaldo rock (i REM – toh, lo stesso nome della fase profonda del sonno… – e la loro “Nightswimming” che compare in “Summer climax”, o quella “Spiderland” posta a tradimento a metà della corsa) e puntando su uniformi atmosfere d’ovatta. Chitarre sfiorate e Fendere Rhodes.
Certo, a volte le canzoni si assomigliano troppo tra loro, ma forse è il prezzo giusto da pagare per essere immersi dolcemente in un sogno che non ci appartiene…