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Puntualissimo ogni trienno, il team di Shirley Manson, Duke Ericson, Steve Marker e Butch Vig s’insinua nella scena musicale con un album tutto da scoprire. Infatti, l’eclettica band non pare smentirsi, ma anzi continuare quella fusione di rock and roll ed elettronica, embrionale in “Garbage” e consolidato in “Version 2.0”, divertendosi a miscelare melodie che sanno di classici del rock con quanto di più moderno la tecnologia propone. I tredici tasselli di quel puzzle che è “beautifulgarbage” non sono certo canzoni immediate, ma pezzi meticolosamente filtrati al computer, basati su suoni che vengono destrutturati e poi ricomposti a dare risultati quali “Can’t Cry These Tears” e “Parade”, che ricorda un poco gli ultimi Placebo. Senza dimenticare la gelida raffinatezza del singolo apripista “Androginy”, “Til the Day I Die” pare riassumere una delle principali chiavi di lettura di quest’opera: in qualche minuto una fusione di stili è resa omogenea, tra scratch e campionamenti, da un testo che brilla in ritmicità. Sì, perché nonostante la parola “love” paia inflazionata nei testi della Manson, ciò che più conta è che lo stile si fonda alla perfezione con la musica, il tutto volto alla ricerca di una sonorità più completa. Così “Cup of Coffee” si trasforma nella colonna sonora di un piccolo film in musica, schiudendosi su atmosfere rarefatte di orchestre. Allo stesso modo, “Cherry Lips (Go Baby Go!)” abbraccia sonorità tagliuzzate direttamente dal profondo degli anni Ottanta. Non mancano certo i lenti di stile più canonico, ed è proprio uno di questi, “So Like a Rose”, che si sfoglia lentamente a conclusione di questo album, ultimo soffio vitale di un’opera che mette meticolosità e gusto per il particolare prezioso al servizio di una continua spinta alla sperimentazione ed alla ricerca melodica.