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Si tratta di un doppio album concept o, per usare un termine italiano, tematico. Ciò significa che tutte le canzoni hanno un tema comune, la discesa del giovane Rael nella giungla di una New York trasfigurata, piena di strani esseri e bizzarri personaggi, simbolo della moderna Babele.
I testi delle canzoni sono interamente di Peter Gabriel, con abbondante uso della rima. Mi soffermerò solo su alcune canzoni per esigenze di spazio, ma tutte ventitré meritano attenzione.
La canzone eponima apre l’album con uno dei più begli inizi della storia del rock, illuminato dal pianoforte di Tony Banks che prelude alla potente interpretazione di Gabriel, ma come anche in precedenti canzoni del gruppo (vedi ad esempio “Harold the Barrel”), l’intensità sonora si stempera in un delicato intermezzo.
La quarta traccia presenta la morbida “Cuckoo Cocoon”; segue “In the Cage”, una delle più belle, ritmata dalle tastiere e dal basso di Rutherford, che mutano di frequente l’andamento della canzone. Chiude il lato “A” The “Grand Parade of Lifeless Packaging”, costruita su un sorprendente crescendo sonoro.
Apre il lato “B” l’intensa “Back in N.Y.C.”, seguita dalla strumentale “Hairless Heart” e da “Counting Out Time”, che riprende la vena scherzosa sempre presente nei Genesis (vedi di nuovo “Harrold the Barrel” e “I Know What is Like”). Chiudono il primo disco la splendida “Carpet Crawl” e “The Chamber of 32 Doors”.
Apre con veemenza il secondo disco “Lilywhite Lilith”, seguita dalle sperimentazioni sonore di “The Waiting Room” e dalla struggente “Anyway”. “Here Comes the Supernatural Anaesthetist” è interamente guidata dalla chitarra di Steve Hackett. In “The Lamia” è fondamentale il pianoforte, così come la voce di Peter Gabriel, delicata ma sempre profonda.
La settima traccia presenta “The Colony of Slipperman”, divisa in tre parti, dove Gabriel camuffa frequentemente la voce in una classica canzone dialogata in stile Genesis.
“The Light Dies Down on Broadway” riprende i temi musicali di “The Lamb…” e di “The Lamia”, fondendoli perfettamente. “Riding the Scree” è un brano quasi interamente strumentale, con grande sfoggio di tastiere e, seppure più nascosta, della batteria di Phil Collins, onnipresente tessitore di trame.
“In the Rapids” è quasi un’introduzione alla conclusiva “It”, vigoroso epilogo di un album che, a chi attraverso più di un ascolto ne coglie il reale valore, non può che apparire il miglior concept degli anni Settanta.