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Ed eccolo là, sullo scaffale delle Novità, “Diamonds on the inside”. Dopo una gestazione di un annetto per problemi discografici con la storica Virgin, esce il nuovo lavoro di uno dei pochi artisti inconfondibili in circolazione.
Da una veloce lettura del booklet, mi colpisce subito una novità assoluta: “produced by: Ben Harper”, per la prima volta non appare JP Plunier, che aveva prodotto l’ ultimo album in studio “Burn to shine”, ed aveva sempre partecipato alla produzione di tutti gli altri. Scopro che per l’occasione si è dedicato al “management”.
E’ cambiata la formazione, ma che stiano tranquilli tutti i fan che stanno aspettando il tour, ci sono sia Mobley (percussioni) che Nelson (basso), i due front-man più incredibili che abbia mai visto, alla batteria c’ è Oliver Francis Charles, tanto (da me) sconosciuto quanto praticamente perfetto, più personale, più anima di Butterworth (il batterista storico), di grande gusto nel volteggiare tra la voce di Ben e il basso di Nelson, prendendosi libertà e dimostrando di meritarsele.
Tutto il CD per la verità colpisce per la registrazione molto libera; “Brown Eyed Blues” sembra una versione live per come è arrangiata, ci sono due assoli del sempre eccellente Nelson (che ha collaborato alla scrittura della canzone) mentre Ben si esibisce nei suoi falsetti.
Risulta difficile dare una collocazione a questo album, musicalmente riprende atmosfere diverse tra loro, nel complesso si distacca da “Burn to Shine”, c’ è un ritorno dell’ inconfondibile graffio della Weissenborn, trovano poco spazio le chitarre elettriche, sostituite da slide guitar, acustiche, sonorità che riprendono le atmosfere dei primi due album.
Quattordici canzoni, tutte diverse tra loro, con veri e propri esperimenti che il nostro Ben si è concesso autoproducendosi, dalla ricerca di sonorità raffinate all’ essenzialità assoluta. Non sembra esserci un vero filo conduttore, nè musicale nè tantomeno nei testi. Piuttosto sembra un lavoro curato e pensato per esser ascoltato senza porsi domande. Il CD raggiunge il suo scopo, divertire, e ci riesce bene.
La prima traccia è il singolo molto marleyano “With my own two hands” che riprende idee ed atmosfere dei primi album, carino e di facile ascolto, sicuramente allegro e carico. Segue “When it’s Good”, voce, slide guitar acustica, una percussione e cori a tre voci, tutto condito da atmosfere gospel e battimani. Passano gli anni ma Ben non si è dimenticato le origini. Tantissime le tracce che meritano un ascolto attento.
Finalmente trova spazio in un album ufficiale “Touch from your lust”, che circola in Mp3 da anni in una versione simile, molto rock con tante idee all’ interno, con le prime chitarre elettriche ad alti volumi, e con bellissima parte di tastiere (Greg Kustin); molto potente, molto curata.
Tanti, come dicevo, gli esperimenti sulle sonorità. Il solo Ben Harper si esibisce, oltre con le varie chitarre, con il basso, basso sintetizzato, organo da chiesa, percussioni (tali “thiele tongue drum”) e batteria. Spicca “When she believes”; quasi una composizione, la voce in primo piano ed una mini orchesta ad accompagnare questo testo innamorato, dodici persone con tanto di viola, arpa, clarinetto ed affini, davvero bella, colpisce al primo ascolto.
Non mancano le classiche ballate presenti in ogni album come “Amen Omen” che per la verità ricorda molto la sua versione di “The Drugs Don’t Work” dei Verve; “She’s only happy in the sun”, che chiude l’ album per un finale tutto melodie e sogni ad occhi aperti, e “Blessed to be a Withness” con percussioni ed atmosfere afro.
Una citazione a parte merita “So high so low”, decisamente dissonante all’ interno dell’ album con chitarre e piano elettrici, distorsioni, addirittura il mellotron. Un’ altra idea più elettrica che acustica è, oltre la già citata, “Touch from your lust”, “Temporary Remedy”. Decisamente più riconducibili al suo stile sono invece “Diamond on the inside” ed “Everything”. Affascinante “Picture of Jesus”, a cappella, un coro di voci incredibile e Ben solista, da brividi.
Nel complesso un CD molto curato, che vuole divertire, Ben ha abbandonato i tempi dei testi impegnati e toccanti quali “Like a King” oppure “Excuse Me Mr.” per concedersi temi più leggeri; spazio alla musica, quindi: variopinta, mai stancante, curata nei minimi dettagli, sorridente, solare. Ben Harper a cavallo tra vecchie sonorità e poca voglia di denuncia. Ne esce un album sicuramente ben fatto, divertente, non certo innovativo, che credo non tradirà i fans.