Share This Article
Ascolto il disco degli Hives e dico: “mmm, non male… che faccio Luca, ne parlo?” e lui: “Ma certo! Parlane!”… ecco, mai che mi dica di stare tranquillo e prendermi una vacanza… eppure lo sa che sono iperpropositivo… vabbè.
Ok, avevamo lasciato gli Hives (Svedesi da Fagersta) con una manciate di buone canzoni, un tour americano e addirittura un’apparizione agli “MTV Video Music Awards” – che non sarà il massimo per il profilo musicale, ma garantisce sempre un’ottima visibilità – nonostante il precedente full-lenght, “Veni Vidi Vicious”, era forse uno dei lavori meno convincenti del movimento neo-garagista. Infatti, esclusi episodi come “Main offender” e “Hate to say that I told you”, il disco girava sconsolato senza affascinare ed influenzare l’ascolto. E in un momento storico dove tutti erano impazziti per Strokes e White Stripes non era esattamente un buon segno.
Pronto quindi a stroncare i pur simpatici svedesi (come può non star simpatico quel Howlin’ Pelle Almqvist che sul palco imita le movenze del miglior Jagger?) arrivo a “Tyrannosaurus Hives” e… che cazzo! Il disco che non ti aspetti. Non sarà certo un capolavoro, ma qui di canzoni salvabili ce ne sono un bel po’ e la vena compositiva è diventata tremendamente più catchy.
Ora, capite che da un gruppo del genere – così come dagli Strokes, dai White Stripes, dalla (I)NC e dagli Ikara Colt – non possiamo pretendere un’evoluzione della musica o un saggio d’avanguardia, quindi bastano delle buone canzoni e la speranza di una maturazioni costante nella forma per renderci felici e gli Hives ce l’hanno fatta. Certo, partivano penalizzati e a nostro avviso non potevano che migliorare, solo non credevamo potessero migliorare così! Il rock’n’roll proposto dalla band è selvaggio e tirato, non si perde in ballate o compromessi senza interpretazioni, cita Iggy Pop e i riff di Marc Bolan e lo fa nella maniera migliore per un disco di tal fattura: ficcandoti in testa le canzoni.
Su tutte da ricordare “Abra Cadaver”, “Two-timing touch and broken bones” e il singolo “Walk Idiot Walk” ed è un peccato che le restanti nove canzoni – che sono comunque migliori della media di “Veni Vidi Vicious” – non abbiano la stessa forza di queste prime tre, perché con un tiro simile, “Tyrannosaurus Hives” poteva essere uno di quei dischi da ricordare nel tempo come un fottuto disco rock, di quelli che ascolti e finisci per consumare perché capace di lasciarti senza fiato. Un vero peccato, perché questo quarto disco degli Hives resta un buonissimo lavoro ma che purtroppo non resisterà molto nei lettori per colpa dell’iperproduttività dell’indie-rock e per colpa di canzoni che, alla lunga, non sembrano persistere nel tempo.