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Sono serviti tre anni ai Mercury Rev per scrivere il seguito del disco che all’improvviso ha portato la loro musica in un altro luogo. Come per un romanziere che d’incanto riesca a trovare la propria voce, così i Mercury Rev hanno scovato il senso di tutto in fondo a “Deserter’s Songs” e a quelle atmosfere che si allontanavano dal rock.
Il seguito non poteva che ripartire da lì e “All Is Dream” riprende gli stessi temi, a cominciare dai suoni orchestrali. Infatti una cascata di archi apre “The Dark Is Rising”, che poi si abbandona alle tenui note di un piano e alla voce fragile di Jonathan Donahue. E si nota subito la sottile linea che unisce questo lavoro con il precedente, la nota maestria nel maneggiare i suoni di Dave Fridmann, nel frattempo prestato alla produzione di Sparklehorse, Mogway e Flaming Lips, tra gli altri, e la stessa capacità di scavare nelle emozioni, di costruire brani profondi come ferite. Queste canzoni sono affascinanti proprio perché mostrano quel dolore, lo catturano e lo raccontano. Così è per la malinconia che avvolge gran parte del disco, “The Dark Is Rising”, disarmante, “Tides Of The Moon”, la bellissima “Lincoln’ Eyes” e poi “Spiders and Flies”, dove ancora una volta bastano la voce di Jonathan Donahue, le note di piano e poco altro a costruire una canzone memorabile. Appaiono altri bagliori nel disco, soprattutto la melodia incantevole di “Nite and Fog” e la lieve “A Drop in Time”, che conducono alle esplosioni di psichedelia in cui sfocia “Hercules”.
A sigillare dopo tre anni di attesa, un altro grande disco.