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Che i Mercury Rev fossero amanti del cinema si era sempre saputo. Nel corso della loro carriera, hanno sempre cercato di avvicinare la loro musica a questa loro passione. Il loro primo lavoro, risalente agli anni ’80, non a caso era stato registrato su nastro magnetico per film. Stessa sorte tocca a “Deserter’s Songs” registrato su pellicola da 35 mm.
Oltre all’originalità sopra descritta, ciò che colpisce di questo album è anche il suono e l’atmosfera che da esso prenndono forma. Da non dimenticare la copertina, raffigurante una foto un bianco e nero che sembra presa da un vecchio film degli anni ’50. Oltre alla cover, anche alcuni brani dell’album sembrano provenire dal Telefunken mono del nonno. Atmosfere sfocate, oniriche, con accenni leggeri di psichedelia accompagnano l’ascolto dall’inizio alla fine. Da notare come gli arrangiamenti si fondano perfettamente con la voce di Jonathan Donahue, qui al massimo della forma.
Apre il tutto “Holes”, uno dei singoli migliori e più accessibili, seguito dal tocco fiabesco e naif di “Tonite It Shows” e da “Endlessly”. Se è vero che “I Collett Points” salta subito all’orecchio per il suono mono, è anche vero che non si rimane indifferenti alla seguente “Opus 40”. “Hudson Line” è il brano dove si uniscono meglio le sperimentazioni del gruppo con la forma del rock “vecchia maniera”. Il risultato è sorprendente, con un organo suonato impeccabilmente.
Difficile rimanere impassibili di fronte a un disco del genere. Purtroppo, come ogni album innovativo che si rispetti, è un lavoro che piace o non piace. Senza mezze misure. Personalmente, faccio parte del primo caso.