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Fin da quando gli Mquestionmark hanno fatto capolino nelle terre di “via Carlo Marx, via Ho Chi Minh, via Che Guevara, via Dolores Ibarruri, via Stalingrado, via Maresciallo Tito e piazza Lenin” hanno subito rappresentato un unicum: di primo acchito per i due bassi e la mancanza della chitarra, ma non solo per quello. L’indole tipicamente indie americana fa a cazzotti a volte con la tendenza, tipicamente reggiana, di chiudersi a riccio in autoreferenzialità e provincialità. Ci sono sempre le eccezioni, certo, e i Giardini di Mirò, i Julie’s Haircut e, ultimamente, i Gazebo Penguins della Suiteside sono tali, però ha sorpreso fin da subito la visione a largo raggio degli M? (questo il nome prima che preferissero la dizione per esteso) che, nel guardare a 360°, non ha mai dato la possibilità di accostarli in particolare a niente e a nessuno.
E anche in questo che è il loro vero e proprio esordio (se non contiamo il cd autoprodotto, dal titolo geniale, “Absolutely Pizza” del 2007), gli Mquestionmark dimostrano che ne è valsa la pena, nel 2005, mollare ogni loro progetto parallelo (Joe Leaman, Julie’s Haircut, Il Giorno del Pou) per costruire questa band dalle diverse sfaccettature che unisce – se proprio dobbiamo trovare due riferimenti – una naturalità grezza stile Fugazi ad un fascino pungente pari a quello dei B-52’s negli anni d’oro.
È un compito ingrato quello di descrivere complessivamente un disco che va invece vissuto canzone per canzone: “Dream Of Carrot” è, semplicemente, una stratosferica autostrada notturna e psichedelica, “Demolition Dailyplanner” la dimostrazione di come “due bassi non sono troppi” (la loro massima da sempre), “I Hate My Work” invece che ci sta anche la chitarra. Diventando meno intransigenti, infatti, gli Mquestionmark hanno ultimamente accolto, senza perdere in scarnificazione, anche qualche chitarra elettrica: Filippo Rosi (ex Lineaviola) ma anche Alessandro Zanotti (ex Ornaments, Death of Anna Karina) in un paio di brani tra cui spicca la nervosa “Banana Bee”, oltre a collaborare con un polistrumentista come Andrea Sologni (Gazebo Penguins, My Awesome Mixtape e fonico dei Giardini di Mirò).
Complessivamente “One for All All for One” finisce dunque per annusare la prima new-wave post-‘77 rivisitandola con una lucida visione lo-fi, e un tale sound è congeniale per far emergere – sempre – i due bassi: saturi o distorti, teneri o pieni, i due veri protagonisti che dominano la scena come due primedonne.
Ma non crediate che i due bassi siano per “fare i fighi”, perché – come dissero gli Mquestionmark nell’intervista a Kalporz del febbraio 2008 – “Noi non vogliamo fare i fighi. Siamo fighi”. Una risposta che è ironica perché Laura, Luca e Simone sono ironici; poi, se ci si pensa un po’ su, si finisce invece a dirlo sul serio: gli Mquestionmark sono fighi davvero. Punto.