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L’abbraccio del folk, delle filastrocche bucoliche giocose e burrascose, lasciando lungo il cammino l’uso preponderante dell’elettronica e utilizzando fiati e strumenti più tradizionali: ecco la strada del cambiamento percorsa da Gunnar Tynes e soci, dopo le due ultime (deludenti) registrazioni.
I Múm di fine anni ’00 vedono una rivoluzione dovuta all’ingresso della nuova voce sottile e vellutata di Sigurlaug Gìsladòtir: “Sing along to songs you don’t know” è un album fresco, di svolta, forse non perfetta ma ricca di spunti e del passaggio evolutivo che piace ed attrae.
Registrato interamente nel nord Europa, pubblicato dalla berlinese Morr, presenta da subito una freschezza pop, colorita di elementi tradizionali solo in piccole dosi catalizzata dai suoni sintetici quali battiti, crepitii, glitch e farcita di note provenienti da pianoforti, ukulele, moog, organi e archi. Tema portante è quello dell’acqua, come illustrato in copertina, acqua come entità che scorre ed anche portatrice di colori, suoni e sopratutto di solarità, come ingrediente principale finora inutilizzato nella ricetta della band islandese.
La nuova veste della band è da subito testimoniata nella track iniziale “If I were a fish” e nella successiva “Sing along” con elementi corali e suggestivi; è un pop profondo ed ispirato, intriso di misticismo e palpiti di orchestralità noir come in “A river don’t stop to breathe”. Spazio agli archi ed effetti di moog (“The Smell of Today Is Sweet Like Breastmilk In The Wind” o “Kay-ray-ku-ku-ko-kex”) un po’ Stereolab, la lirica dei nuovi Múm rammenta all’ascolto la metrica bucolica ed intimistica drakeiana (“Last Shapes of Never”), o la leggerezza di Surfjan Stevens. Ma è soprattutto la parte conclusiva dell’album quella in cui i Múm dimostrano di svincolarsi dal loro passato e dalle attese: con la sognante “Last Shapes Of Never”, la tintura vintage di “Illuminated” o con le note notturne del piano di “Ladies Of The New Century”, che chiude il disco.
“Sing Along To Songs You Don’t Know” suona come un nuovo inizio, un invito a lasciarsi coinvolgere dal gusto della scoperta, apparentemente fuori contesto ma superando ampiamente i riferimenti a un passato artistico ormai compiutamente dietro le spalle.