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Muse, seconda puntata. Fans e critica aspettavano con ansia la seconda prova dei tre ragazzini del South Devonshire; per loro ecco “Origin Of Symmetry”, il disco dell’evoluzione. Con il precedente “Showbiz”, i Muse si erano ritagliati una buona fetta di consensi e apprezzamenti, anche se su di loro gravava l’accusa di “band tributo dei Radiohead”. Con questo lavoro i Muse cercano di scrollarsi di dosso il ruolo di semplici epigoni, per conquistare una dignità artistica autonoma. “Origin Of Symmetry” sembra andare nella direzione giusta.
Ad aprire le danze ci pensa “New Born”, brano intenso che contiene in sé già tutti gli ingredienti che si incontreranno nel resto del disco: intro tenue, sostenuta da un arpeggio di pianoforte che sembra eseguire una ninna nanna impazzita, voce più sospirata che emessa, e poi esplosione finale con chitarre elettriche compresse più che mai. La stessa struttura è riscontrabile già nel secondo brano, “Bliss”, che apre con un “Autoharp” in stile Genesis di “Carpet Crawl”, per poi tuffarsi subito in acide cavalcate elettriche. Lo stesso gioco si ripete con la successiva “Space Dementia”; qui verrebbe addirittura da scomodare “Anyway”, sempre dei Genesis. Ma più che negli arrangiamenti, ciò che sembra costituire un filo conduttore che corre lungo il disco è la struttura armonica dei brani. Tonalità minori, drammatiche più che tristi, passionali più che disperate. Brani sicuramente da segnalare: “Citizen Erased”, energico nei suoi intrecci di chitarre compresse che accennano timidamente ad un abbozzo di riff, per poi scivolare indisturbato in placide acque arpeggiate, in cui la voce di Matthew Bellamy flirta pericolosamente con il Thom Yorke di “Ok Computer”; “Plug In Baby”, canzone intensa e drammatica, sostenuta da un acidissimo basso sintetizzato, su cui zampetta un riff ritmicamente allegro.
Canzoni molto buone, per carità. Tuttavia, i debiti con Thom Yorke e soci sono ancora aperti, soprattutto nella voce di Bellamy, che in più momenti non disdegna aggrovigliamenti sofferti, falsetti disperati, simili troppo simili a quelli del leader dei Radiohead. Ma giudicare “Origin Of Symmetry” semplicemente partendo dai Radiohead come baricentro musicale sarebbe ingiusto e limitante. I Muse acquistano progressivamente una propria identità definita; arrangiamenti e sonorità sono decisamente originali e accattivanti, forse anche grazie all’arrivo del produttore David Bottrill (dEUS, Tool) accanto al solito John Leckie.
Insomma, al secondo appuntamento si rimane piacevolmente stupiti ma non del tutto soddisfatti. Ai Muse si può e si deve chiedere di più, soprattutto dal punto di vista compositivo; uscendo da formule armoniche che rischiano di logorarsi da un momento all’altro, questi tre ragazzi possono puntare molto in alto.