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Il 18 maggio di quest’anno è stato un quarto di secolo che ci ha lasciati Ian Curtis. Troppo sensibile, troppo anticipatore. Troppo. Cos’hanno fatto e cos’hanno rappresentato i suoi Joy Division lo sappiamo tutti: i discepoli sonori del gruppo mancuniano si contano a bizzeffe, e gruppi come Interpol o Black Rebel Motorcycle Club devono accendere un cero in chiesa tutti i giorni in loro memoria. Ma, come si sa, in giro non ci sono solo i seguaci illegittimi più o meno camuffati, bensì anche chi può a pieno titolo fregiarsi di avere contribuito a quel grande progetto e che oggi aggiunge un altro tassello alla storia del dopo-Ian.
I New Order tornano con questo “Waiting For The Sirens’ Call”, e tornano per far capire di esserci. Questo è buona cosa: come i Joy Division anche loro sono ormai parte della Storia del Rock, quasi padri putativi di certa sperimentazione rock/elettronica. Ce se n’è accordi a Londra poco tempo fa: in una disco acida tra tutta robba contemporanea spunta improvvisamente “Blue Monday” sul piatto del dj e viene giù il locale. Non deve stupire pertanto se i New Order non hanno cambiato di una virgola la loro formula anche in questo ultimo cd. La direzione, il gusto, la cura per i dettagli, il suono brillante, le chitarre saltellanti suonate su una corda, la preferenza per quel canticchiabile trascinante e trasognante sono tutte prerogative mutuate dal penultimo “Get Ready” e riconfermate in rosa. Squadra che vince non si cambia.
Si deve però ammettere che – mentre “Get Ready” era una compilation di singoli – “Waiting For The Sirens’ Call” offre meno qualità dei pezzi. Alcune cadute di stile ci sono proprio: il ritornello di “Jetstream” ha un intreccio di voci con tale Ana Matronic che suona come Mel & Kim (e se non vi ricordate “Respectable” di queste due mulattine da MTV di fine anni ’80 siete solo fortunati…), l’intro finto-reggaeggiante di “I Told You So” è paro paro un incipit da Ace Of Base (!), “Turn” strizza l’occhio alle piste da discoteca ma lo strizza troppo che finisce per non aprilo più quell’occhio. Preoccupati? Un po’ lo si deve essere, ma a contraltare di tutto ciò c’è il richiamo voluttuoso della title-track, il cuore traboccante di sogni di “Krafty”, la lacrimuccia di disillusione di “Who’s Joe” (con un riff che ricorda “From The Edge Of The Deep Green Sea” dei Cure), la strada lunga e diritta di “Hey Now What You Doing”. C’è quindi anche di che gioire.
Il tutto miscelato bene dal riguardo maniacale per il particolare, dal tocco di charleston in più al punto giusto, dall’assolo di chitarra che-lì-sì-ci-vuole-proprio. Insomma, i New Order. In “Waiting…” c’è tutto il loro campionario con il minimo (fisiologico) di pezzi difettosi che, inevitabilmente, ci si deve aspettare da un gruppo che produce musica da tanto tempo. C’è modo e modo di invecchiare: la band di Manchester, tanto per capire, con un album del genere non si fa servire su nessun carrello dei bolliti, ma non ci offre nemmeno quel dessert che si poteva pretendere.