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Davvero ineccepibile la citazione riportata all’interno del contenitore: la tradizione è una scelta consapevole, non un’abitudine. Le motivazioni dello Stravinskij neoclassico, quello della Sinfonia in Do, possono essere racchiuse tutte nella inequivocabile dichiarazione di un compositore che sarebbe reato definire conservatore. La riproposta, la rivisitazione di una tradizione – musicale nel caso specifico – non può che originare da un atto intellettuale, razionale, volontario. La consuetudine, oltre che poco vitale, è un assai fragile argine alla uniformizzazione del gusto.
Pasquale Nigro, o semplicemente Nigro, non galleggia nella tradizione, ci nuota. Non fa il morto, affronta le onde. Per l’esordio solista, il ventiseienne fisarmonicista calabrese confeziona un mini LP che, per rimanere in ambito classico, assomiglia a una suite con tanto di ouverture (“Giocolieri”) e gran finale (la title track). Un itinerario di viaggio dalla stesura classica dunque, o almeno così suona al nostro orecchio: un cammino in otto tappe, una mappa tascabile di ritmi e melodie popolari del mondo ripercorse e rielaborate con sensibilità mediterranea, che è anche un ritorno a casa, a Sud, per riprendere fiato prima di tuffarsi di nuovo. Con la bussola orientata a Sud, del resto, sono state e sono le esperienze musicali di Nigro: da Rosaluna al Parto delle Nuvole Pesanti al Sàzizz’ Trio, band bolognesi di adozione ma di sangue meridionale, passando per il più sperimentale progetto Mandara, a scompaginare un po’ l’elettronica.
Dapprima ci troviamo in un fumoso locale del Nord-America, ai tempi del proibizionismo e dell’immigrazione italiana: un pianoforte automatico (strumento pure stravinskiano…) diffonde le note di un essenziale e nostalgico rag-time, mentre alcuni giocolieri intrattengono gli avventori. Un quadro quasi chapliniano. Poi in un attimo siamo già in Argentina, trascinati dai ritmi appassionati del tango e della milonga (“El Barrio” e “Milonga Des Amantes”) che ci proiettano di slancio oltreoceano, in Europa, nella Parigi di Django Reinhardt e dello swing zigano (“Django”). “Lammabede”, che riprende una morbida melodia tradizionale d’Oriente evocativa di antichi viaggi, è quasi una pausa prima di piombare dritti dritti nei Balcani con la sequenza “Jug”/“Heyser Bulgar”: la prima una sorta di divertente fanfaronata o spacconata in musica, il secondo un energico pezzo festoso, su base tradizionale, con un sorprendente intermezzo di chitarra elettrica che piacerebbe sicuramente ad Hank Marvin. “Orientato a Sud”, unico pezzo cantato dell’album, interpretato da Cinzia Cerenzia su testo “programmatico” di Mirco Menna del Parto, sembra riassumere e unificare tutte le suggestioni e i colori del disco, illudendoci di avere appena ascoltato otto variazioni su un unico tema inciso nella memoria culturale: il Sud come impronta musicale profonda.
Collaborano al promemoria, in ordine sparso: Gianfranco De Franco (clarinetti e sax soprano), Silvio Ariotta (contrabbasso), Franco Ierardi (chitarre), Massimo Garritano (chitarre), Piero Gallina (violino), Salvatore Greco (batteria in “Django”), Cinzia Cerenzia (voce), Gennaro de Rosa (batteria e percussioni).