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Chi non si ricorda quando nel 2005 sono arrivati gli Ok Go e i loro video innovativi a basso budget, che a suon di click su Youtube si sono persino aggiudicati la heavy rotation su Mtv?
Oggi, a 3 anni di distanza, la band statunitense non riesce a ripetere il livello del secondo disco (“Oh no”) che a colpi di “A million ways” e “Here it goes again” diede un diretto al mento al videoclip ad alto budget, dimostrando che anche con poco si riesce ad ottenere tanto. A patto che sotto ci sia tanta tanta sostanza musicale, che in questo “Of The Blue Color Of The Sky” manca decisamente. Tra Prince, Flaming Lips e Beck, la band continua a proporre il suo solito power pop farcito di sonorità 80s. Mancano all’appello l’originalità e la semplicità dell’esordio: “Wtf?”, con il cantato in falsetto alla Prince fa subito sussultare e il titolo della canzone è l’acronimo dell’esclamazione più adatta che può venire in mente.
A dire il vero non tutto è da buttare, come sempre, e alcune tracce degne di nota ci sono: “White Knuckles” è il pezzo che qualitativamente si avvicina di più agli esordi, potente, incalzante, il classico pezzo che ti fa muovere il piedino e la testa di qua e di la mentre lo ascolti. “This is too shall pass” col coro in ritornello lascia ancora ben sperare, se prima non ci si è ancora addentrati nell’ascolto del resto. “Skyscraper” sembra un plagio di un brano dei Pixies, ma è comunque un brano che ha del calore da regalare all’ascoltatore. “In the glass” chiude il lavoro costruendo attorno ad un giro di basso una melodia fatta di pianoforti e tastiere su cui la voce (finalmente tornata normale, dopo tanti falsetti alla Prince mal riusciti) si adagia elegantemente andando a toccare le corde emotive dell’ascoltatore. Il resto è tanto fumo e poco arrosto: arrangiamenti contorti, suoni buttati li (sembrerebbe) alla rinfusa, anche la copertina non è delle più entusiasmanti e alla fine, dopo tanti tentativi, ci si rende conto che è praticamente impossibile terminare l’ascolto di ogni singola traccia.
L’album si avvale della produzione di Dave Fridman, già autore di alcuni recenti album di riferimento per la scena statunitense (Clap your hands and say yeah, Mgmt, Weezer…). Impossibile stabilire quale sarà il futuro della band di Chicago, sicuramente però ci sarebbe da auspicarsi un ritorno al pop graffiante che li aveva contraddistinti qualche anno fa, quando si divertivano a saltare sui rulli.