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Che Tom Petty si presenti senza Heartbreakers è un avvenimento raro, capitato soltanto tre volte nell’arco di una carriera esattamente trentennale. Si dice che dopo tutto questo tempo gli Heartbreakers non seguiranno più il Nostro in tour, ed è una notizia per noi ancora più dolorosa, visto che non sono mai saliti su un palco della nostra miope penisola. Sarà questo il motivo che ha spinto Tom ad uscire con un nuovo album solista.
I precedenti sono scintillanti: “Full moon fever” conteneva, per citare solo le più conosciute, “Free fallin’”, “I won’t back down” e “Runnin’ down a dream”, e non rappresentava soltanto uno dei risultati più convincenti della sua discografia, ma anche uno dei suoi più grandi successi. L’ultimo disco solista, “Wildflowers”, del ’94, rappresenta semplicemente il suo ultimo vero capolavoro. I paragoni perciò sono impraticabili: questo nuovo “Highway companion” va considerato come il prodotto di un cammino completamente nuovo e autonomo.
Il cammino, o meglio ancora il viaggio, è peraltro il tema centrale dell’album, esplicito fin dal titolo. E come un viaggio, i 12 pezzi che lo compongono scorrono che è un piacere, molto più agevolmente del confuso “The last dj”, ultima uscita, in data 2002, a nome Tom Petty & the Heartbreakers. C’è spazio per un po’ di tutto: un blues che odora di asfalto e copertoni come l’iniziale “Saving grace”, magnifici esempi del consueto, enorme talento cantautoriale come “Down south” e “Night driver”, l’energica e oscura “Turn this car around”, la dolente “The golden rose”.
Non si sa se sentirsi delusi o gioire, perché se di gemme per cui strapparsi i capelli non ce ne sono, l’album è comunque coerente, molto ben registrato e qualitativamente soddisfacente. In fondo, non si è mai pervasi da un sentimento preciso quando si intraprende un viaggio, ci si rilassa e ci si lascia trasportare, con tanta più calma e sicurezza quanto più è esperto l’autista.