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“Summer in Abaddon” è il terzo disco degli americani Pinback – segue l’esordio omonimo del ’98 e “Blue Screen Life” del ’01 – ed è il disco pop che non ti aspetti. La sua anima indie non attacca una scrittura classica che, basandosi quasi sempre su una struttura strofa-ritornello, riesce a concepire canzoni eleganti e non prive di un certo fascino.
L’elettronica – usata con perizia – fa da collante tra i suoni riverberati delle tastiere (“Sender”) e linee di basso dal tipico sapore anni ’80 (ascoltare “Non Photo Blue”, quasi dei Gang of Four sotto morfina). La voce – che per emotività e capacità di passare da toni sussurrati a ritornelli più enfatizzati, potremmo paragonare a James Mercer degli Shins – si lascia accompagnare da una chitarra acustica e trova la sua arma più efficace nell’essenzialità della sua interpretazione. I dieci siparietti pop di cui è composto “Summer in Abaddon” sono di una bellezza rara. Si alternano tra il malinconico e l’intimista ma rifiutano il solito vestito folk per forgiarsi di una nuova linea, più “contemporanea” e, volendo, più accattivante. Ma non c’è comunque niente di nuovo (alcuni nomi? Modest Mouse, Built to Spill…) se non una scrittura limpida che riesce a fissarsi nella mente di chi ascolta e che invoglia a ripetere l’esperienza.
È un peccato che sia uscito verso la fine dell’anno – da qui la conseguenza che pochi (probabilmente i soliti noti) si accorgeranno di questo lavoro – ma resta il fatto che la qualità della musica inclusa in questo disco raramente si è trovata in altre uscite indie-pop quest’anno.