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La musica americana è un grandissimo circolo vizioso e gira che ti rigira, un giorno o l’altro ti ritrovi a fare i conti con la tradizione. Ma non quella che adesso possiamo considerare come passata – Dylan, Neil Young, lo stesso Springsteen – ma quella dei veri “padri”. Quella nata nelle campagne come elemento di divertimento (i minstrels) o come dardo di protesta. Quella che poi, tramite le dovute contaminazioni, è diventata colonna portante delle musica country e folk per poi assumere un ruolo cruciale grazie ai ragazzi con la chitarra degli anni ’60. Ma tutto è cominciato da qui. Dalle canzoni di pubblico dominio conosciute come “traditionals”. Righe tramandate oralmente che sono la prima vera bibbia di ogni cantastorie, le prime che si imparano a cantare e suonare. Un repertorio preziosissimo custodito in vecchissimi acetati e soggetto di recenti riscoperte come la monumentale “Anthology of American Folk Music”.
Bruce Springsteen è solo l’ultimo di quella schiera di cantori pronti a sfidare la tradizione per appropriasene attraverso il proprio linguaggio. Prima di lui c’è stato Dylan, che cantava i tradizionali e le canzoni di Woody Guthrie in giro per il Village. E prima ancora quel Guthrie di cui tutti parlano ma di cui pochi conoscono l’arte. Su fino arrivare al vero e proprio messia della canzone tradizionale: Pete Seeger. Oggi Seeger è un arzillo vecchietto di 80 anni, ma lungo questo arco di tempo ha inciso in maniera pressoché fondamentale nella definizione dell’estetica della canzone popolare a stelle e strisce. Ed è dalle sue versioni di questi “classici” che Springsteen parte in questo viaggio di passione & omaggio verso le radici sue e di tutti quelli che prima di lui hanno deciso di imbracciare le chitarre perché “uccidevano i fascisti”.
“We Shall Overcome – The Seeger Sessions” non è un lavoro da giudicare nell’ottica della carriera di Springsteen, ma va visto come un capitolo a sè stante. Questo non perché sia un disco di cover o perché al posto della E-Street Band suoni una banda che mescola country, bluegrass e cajun. Ma per la sua natura meramente antologica e per il suo carattere puramente fotografico. E’ un disco che doveva uscire in questo momento e non poteva essere altrimenti. Nato come divertissement di qualche giorno e pubblicato senza ulteriori ritocchi in sede di montaggio, “We Shall Overcome” è il perfetto fermo-immagine in musica di un momento di profondo raccoglimento attorno al significato della canzone americana. Senza ulteriore premeditazione e senza malizia alcuna.
Le canzoni sono arrangiate per avvicinarsi il più possibile al pensiero di Springsteen. Un risultato raggiunto grazie all’enorme mestiere del capo-banda e l’incontenibile dose di passione che si avverte attraverso queste tredici canzoni. Canzoni che anche quando propongono un andamento musicale veloce da “ballo di paese” – “Old Dan Tucker”, brano reso famoso del 1843 dai Virginia Minstrels; “O Mary Don’t You Weep”, inno della resistenza irlandese pubblicato addirittura nel 1815; “John Henry”, sulla lotta tra l’uomo e la macchina nel primo ‘800 – mantengono la loro natura di protesta e denuncia. Senza la malizia dei giorni nostri o la retorica pacifista cara ai folker dal pugno chiuso facile, ma con l’ingenuità di chi guardava un paese che stava nascendo e cominciava a vedere le prime negative pieghe. Ne sono poi emblemi canzoni come “Erie Canal” – brano scritto nel 1905 da tal Thomas S. Allen – il gospel “Eyes On The Prize” e il pezzo forse più famoso del lotto: “We Shall Overcome”. Brano accreditato ad autori come Guy Carawan, Frank Hamilton, Zilphia Orton e Pete Seeger, definito da Springsteen stesso come: “La più importante canzone di protesta di sempre. Cantata in ogni posto del mondo in cui c’è un uomo che lotta per la sua libertà”. Qui resa come una lenta e dolente marcia verso una catarsi conclusiva che sembra un raggio di sole alla fine di un tunnel.
Un disco sorprendente. Nato vecchio e morto prima ancora della sua pubblicazione, ma sicuramente interessante. Sia come operazione filologica, sia come dimostrazione dell’eclettismo – pur all’interno del discorso tradizionale – di Springsteen. “We Shall Overcome – The Seeger Sessions” riesce nell’omaggiare le radici care alla “populare music” made in USA e il suo massimo esegeta Pete Seeger. E se riuscisse a fare conoscere, grazie al carisma inconfondibile della voce di chi le canta, un po’ più del canzoniere su cui i folk-singer si sono fatti le ossa nei primi giorni della loro vita artistica, beh, sarà molto più che una semplice missione compiuta.