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C’è qualcosa di indiscutibilmente affascinante nel personaggio di Cass McCombs, una sorta di inconsueta integrità artistica che lo rende alieno al panorama musicale moderno, ma allo stesso tempo così intrigante.
Non si tratta del suo modo di porsi al di fuori degli schemi e dei cliché. Conta poco che incarni l’essenza del poeta vagabondo che suona e compone in qualsiasi luogo il suo spirito nomade lo conduca. Non è nemmeno la sua scarsa predisposizione alle interviste, cosa che spesso può essere scambiata per antipatia, a renderlo misterioso.
No, ciò che affascina di Cass McCombs è il suo amore incondizionato per la musica, l’infinita convinzione nei propri mezzi che traspare dalla sua scrittura, spesso austera ed essenziale, ma sempre, inesorabilmente, autentica.
A conferma dell’atipicità di questo sfuggente cantautore ecco giungere il secondo disco in un anno, ennesima dimostrazione di come il nostro si diverta a farsi beffa dei consueti canoni dell’industria musicale. Il precedente “Wit’s End”, uscito a maggio, rappresentava una sorta di opus magnum per la carriera di Cass McCombs, una gemma oscura d’introverso decadentismo che sfiorava picchi d’epica stilistica davvero notevoli, pur navigando in acque talmente torbide da risultare difficilmente esplorabili ai più.
Se paragonato al tetro cadenzare del gemello, il nuovo “Humor Risk” appare un lavoro quasi solare, che si dilata su passaggi chitarristici polverosi e biascicati, che sembrano quasi voler tratteggiare un intenzionale contrasto con la nitida dialettica del predecessore.
Sia chiaro, le opere di Cass McCombs non sono mai perfette, né aspirano a esserlo; probabilmente “Wit’s End” era più raffinato nella forma e marcato nei contenuti, mentre “Humor Risk” ha dalla sua una maggiore immediatezza, testimoniata fin dall’inizio dalla sublime filastrocca “Love Thine Enemy”. Stupisce la profonda innocenza di questo brano, giocato tutto su un paio di sbuffi di chitarra elettrica ripetuti all’infinito e su un testo sottile e pungente.
Proprio le liriche vanno a costituire uno dei punti forti del disco, mostrando ancora una volta come la vena da cantastorie di Cass McCombs sappia trovare la sua compiutezza sia lungo tempi dilatati, che su ritmiche più serrate.
A tal proposito è impossibile non citare il cadenzato rock’n’roll di “Mistery Mail”, grottesco racconto incentrato sulla storia di un vecchio amico che, dopo essere finito a lavorare per un business familiare di produzione di metamfetamine, finisce prima in prigione e poi infilzato con una penna a biro.
Per il cantautore californiano è la casualità a dominare le nostre vite; è perciò inutile domandarsi il perché delle cose in un mondo in cui “dolore e amore sono la stessa cosa”, come spiega nel riuscitissimo mid tempo “The Same Thing”, primo singolo estratto dal disco.
La cantilena allegra e disinvolta “Robbin Egg Blue” e la tetra ballata lo-fi “Mariah” completano infine l’elenco dei brani fortunati di questo album, andando ad aggiungere due ennesime piccole gemme alla lista dei successi della carriera di Cass.
“Humor Risk” è un disco atipico, esuberante e bizzarro, ma anche logorroico e autoreferenziale, perfetta summa dei (molti) pregi e dei (pochi) difetti della biografia del suo autore.
Un giorno forse, disteso sul sedile posteriore del suo pullmino, Cass McCombs metterà insieme tutte le bozze di una vita passata a cercare l’essenza stessa della musica, e scriverà il suo capolavoro.
Fino ad allora ci dovremo accontentare, si fa per dire, della sua eccezionale autenticità.
70/100
(Stefano Solaro)