Share This Article
Luogo d’incontro, la Grande Mela, 2007, ma del tutto non americani gli Young Magic. Isaac Emmanuel, nato in Australia, ha girato l’Europa, passando per New York, registrando musica per conto suo, mentre il suo compare Michael Italia (!) transitava in Sud America. Il futuro sodale di origini indonesiane, Melati Malay, trovava a Brooklyn, la base in cui i tre avrebbero messo su il gruppo e “Melt”. Indizi perché il disco possa essere un melting pop di varia natura ce ne sono in abbondanza e, si sa, il miscuglio è l’arte di questi anni, utile per sopperire a mancanze di scritture e portare a casa lo stesso il risultato, così come è facile perderne il controllo, pervenendo al pastone indigeribile dalla scialba identità.
“Melt”, si pone nel mezzo. Non ci sono pezzi che spiccano, così come ognuno è costruito secondo ricette dagli ingredienti ampiamente conosciuti: un po’ di tintinnii Animal Collective, ritmiche fangose a sguazzare nel mare del lo-fi ai limiti del glo-fi, quel tocco etnico che abbinato a scudisciate di natura shoegaze, rendono ogni secondo qualcosa di già ampiamente ascoltato e digerito. A tenere a galla il disco, ci pensa una sorta di attitudine trip hop, abbinata a melodie vocali da delay infinito (“Drawing Down The Moon”), ma non prive di centro. Gli Young Magic dimostrano di aver capito, quindi, come imbrigliare una sorta di fascino in qualcosa che non li rende dei semplici poser o dilettanti allo sbaraglio. Solo che, allo stato delle cose, puntualizzare su ciò che rende fondamentale l’identità di un progetto musicale e aspettare a trangugiare di tutto per poi riversarlo fuori, senza che se ne possegga l’arte per determinarne il reale controllo, serve solo ad aggiungere benzina al fuoco delle intenzioni gettate al vento dell’hype. Di soffiare soffia, ma poi si spegne e bruciano soltanto le speranze. Perseverare.
50/100
(Giampaolo Cristofaro)
1 maggio 2012