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Entrare nella testa dei dEUS di Tom Barman è un’impresa impossibile. Quale altra band avrebbe fatto uscire due dischi in undici anni e poi altri due nel giro di soli otto mesi? Quale altra band, invece di promuovere un album diventato di platino nel giro di pochi giorni, ricoperto dagli elogi di pubblico e critica, ne avrebbe fatto uscire un altro meno di un anno dopo?
Forse la delusione per “Following Sea”, settimo disco in studio per la band di Antwerp dai tempi dall’incredibile “Worst Case Scenario”, giudicato miglior album d’esordio del 1994, nasce tutta da qui. Data l’urgenza di dare un seguito a “Keep You Close”, splendido lavoro pubblicato nel settembre scorso, ci si aspettava che la band belga avesse qualcosa di davvero nuovo da dire. E invece no.
L’album, in sé, non è nemmeno male. Ma neanche memorabile, e non all’altezza del suo predecessore. I suoni sono molto più standard rispetto ai lavori precedenti, e gli arrangiamenti molto meno “malati”. A livello compositivo, “Following Sea” si caratterizza per una tendenza molto marcata all’utilizzo del parlato (almeno metà album) e in generale per una scelta decisamente minimalista nelle melodie vocali, sempre ridotte all’osso.
Non mancano i momenti riusciti e le tipiche ballate alla dEUS, ma il difetto di questo nuovo lavoro è di essere tutto sommato anonimo, un pochino di maniera, specie se si considera la fretta con cui è stato pubblicato. E questo, per i dEUS, abituati a regalare piccoli miracoli di creatività, di genio e di follia in ogni disco, è davvero un peccato mortale.
64/100
(Giampaolo Corradini)
29 giugno 2012