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Era il novembre del 2005 quando il sottoscritto come tanti altri fedelissimi aveva varcato la soglia del club simbolo dell’altra New York a titolo di pellegrinaggio. Dopo trentadue anni di onorata attività era già in smobilitazione, con quel civico 315 della Bowery circondato da homeless spazientiti dai visitatori tra impalcature fatiscenti e rifiuti. Il decadente tempio che ha lanciato i mostri sacri del punk e della new wave locale ha chiuso i battenti nell’ottobre del 2006, e sembra già passata un’eternità. Dal 1973, i Ramones, i Misfits e miriadi di band del malsano sottobosco hardcore e poi ancora i Talking Heads, i B52’s, i Television e Blondie, hanno calcato i primi passi della loro carriera in quello scantinato nell’East Village. Acronimo singolare di Country, BlueGrass & Blues e marchio di successo ancora oggi. Per celebrare il CBGB partecipano al mega-evento trecento artisti vecchi e nuovi, trenta location di punta di una scena, quella newyorkese, comunque ancora viva, seppur spostata qualche miglio al di là del ponte di Williamsburg. Difficile prendere parte a tutti gli eventi in cartellone, tra proiezioni e conferenze introdotte dal padrino della manifestazione, l’ex-bassista dei Nirvana Novoselic. In mancanza di ubiquità, in piena logica Do It Yourself si sceglie un po’ a caso privilegiando ovviamente i due eventi gratuiti principali di Times Square e a Central Park.
Per la serata di venerdì si opta per la Music Hall of Williamsburg, ex-fabbrica abbandonata della zona cool di Brooklyn riadattata a sala concerti che ospita il meglio delle ultime novità indipendenti. Nella perfetta sinergia tra vecchio e nuovo, sono stati scelti The Men come band di supporto ai redividi Redd Kross. Anche il pubblico risente di questo accostamento molto particolare. Così tardone tatuate e altri sopravvissuti della fine degli anni Settanta si mischiano senza difficoltà agli onnipresenti hipster di Williamsburg. Lanciati, come spesso accade da Pitchfork, i quattro ventinovenni di Brooklyn avranno pure scelto un nome scomodissimo per farsi conoscere (al di là della somiglianza con il side-project MEN di LeTigre). Ma in due anni hanno inanellato due album impeccabili, “Leave Home” e “Open Your Heart” figli dei Buzzcocks quanto dell’hardcore punk di scuola Husker Due delle visioni care agli Spacemen 3. Chitarre fragorose, motivi non troppo dissonanti, come se trovare un punto di raccordo tra Foo Fighters e Sonic Youth. Mark Perro e Nick Chiericozzi hanno un chiaro passato hard-rock. A vederli, il loro live è breve, secco e spietato. Anche i vecchi volponi presenti in piccionaia non possono non apprezzare brani quali “Candy”, “Please Don’t Go Away” o le straripanti “Turn It Around” e “Animal”. I quattro sono già al lavoro per il quarto LP, terzo in sedici mesi. Non vediamo l’ora.
I fratelli McDonalds sono segnati dagli anni. E ci si dovrebbe stupire del contrario. Sono passati quasi trent’anni dai gloriosi albori della band legata a doppio filo coi leggendari Black Flag. Jeff e Steve hanno riportato sul palco il “fratello acquisito” Roy McDonalds per celebrare la loro reunion/tributo al CBGB. A dispetto del primo impatto, molto museo delle cere, i quattro offrono uno show devastante. Suono impeccabile, e non solo per merito dell’ottima acustica della Williamsburg. Le chitarre sono roventi, Roy è un batterista micidiale e i due frontman incerati non sbagliano un colpo. I Redd Kross danno una lezione di rock a decine di band contemporanee. Cantilene e controcori glam da post-New York Dolls, accelerazioni monolitiche. E classici d’annata del peso di “Annie’s Gone”, “Blow You A Kiss In The Wind”, “Look On Up At the Bottom” o l’epica “Linda”fanno il resto. Intramontabili.
Sabato è il giorno dell’incredibile evento di Times Square. Sfidando il sole di mezzogiorno e i centogradi e passa fahrenheit si decide di portare la storia del CBGB nello svincolo tra Broadway, 42esima e settima strada. Simbolo dell’anima sempre calameontica di New York, un tempo crocevia di desolanti destini di giocatori d’azzardo, vagabondi e papponi, ora sbriluccicante tempio dei consumi e meta’ turistica sovraffollata. Due palchi, sulla 46esima e sulla 51esima al centro del centro della Grande Mela. Tra turisti straniti, soliti residuati bellici post-punk e decine di curiosi. Gli Zulu Wave sarebbero il supporto dell’ultima leg del tour dei Clap Your Hands Say Yeah! e sanno fare anche di meglio dei loro colleghi per un indie-pop emotivo e di facile presa da Arcade Fire twee.
Il live dei Loaded di Duff McKagan, ha un gusto d’altri tempi per usare un eufemismo. Fa molto ridere vedere famiglie numerose indiane mettersi in posa con dietro il palco che ospita l’attempato Guns N’Roses. Set d’assalto per un tranquillo mezzogiorno in Times Square. Discorsi confusi e filosofie strane nei suoi intermezzi. Fortuna che arriva “So Easy” e poi una cover di “I Wanna Be Your Dog” con ospite d’eccezione Glen Matlock dei Sex Pistols. A bordo palco si dimena come un bambino Jimmy Webb, storico gestore del Trash & Vaudeville, negozio dark/fetish/glam di St. Mark’s Place dove si rifornivano i Ramones e Iggy Pop e poi ancora New York Dolls e Marilyn Manson. Il vero museo delle cere è qui, ma un po’ ci si emoziona.
Un po’ prima del previsto sono annunciati sull’altro palco i veri protagonisti. Gli eroici Superchunk provano insieme agli Hold Steady (cui si dovrà in parte rinunciare per correre al concerto di Central Park) a dare un po’ di concretezza alla parata di Times Square. Tra i più sottovalutati esponenti del rock indipendente americano dei primi anni Novanta, in cinquanta minuti incantano la platea affianco al megamanifesto di uno dei musical più celebri e detestati di Broadway, Mamma Mia. Sfondo stridente e dieci chicche. Nonostante il sarcasmo di Laura Ballance che ammette come, nei panni dei suoi amici, non sarebbe mai venuta a un concerto a quest’ora. E’ l’una e trenta e lo sciame di turisti non si ferma mentre i quattro eroi di Chapel Hill sfoderano insieme al nuovo inedito “This Summer” “Why Do You Have To Put A Date On Everything” e “Detroit Has A Skyline”. A bruciapelo. Si potrebbe già andare a casa contenti, ma Mac McCaughan e soci con la consueta umiltà da gregari ripescano, oltre a tre brani dall’ultimo valido “Majesty Shredding” classici da lacrimucce, “Driveway To Driveway” e “Hyper Enough” con la rabbiosa “Slack Motherfucker”, il brano che più degli altri ha fatto emergere la band simbolo della Merge dai garage underground. I Superchunk pisciano elegantemente in testa a Broadway, agli ABBA e a rockettari di sorta.
Spostandosi di 20 strade a nord-est, sta per iniziare l’altro evento clou. Capienza limitata al Summerstage di Central Park, occorre muoversi per tempo e salutare prematuramente The Hold Steady. Un vero peccato, ma il rischio di perdersi il ritorno sulla scena dei Guided By Voices non è un rischio che vale la pena correre.
Prima dell’EVENTO, si passa il tempo a mischiarsi con la fauna locale. Molto più giovane per la media del CBGB in un’inevitabile oasi hipster ricreata in questo ameno angolo di Central Park che sorge dalle all’altezza della East 72nd Street. Il sottofondo della platea, tipicamente immobile, come da abitudine a stelle e strisce, è offerto dai Cloud Nothings. Anche loro dall’inutile Ohio come gli headliner, hanno ripulito il suono dopo il furente esordio frettolosamente accomunato allo shitgaze caro a Wavves. La produzione di Steve Albini ha canonizzato l’acerbo e rumoroso rockettino del giovanissimo Dylan Baldi e dei suoi compagni d’avventura. Figli degli anni Novanta, malgrado pezzi a tratti inutili da Nirvana 2.0, mostrano maturità.
Molto meglio l’ex band di Kurt Vile, The War On Drugs collettivo di Philadelphia che fa da brezza ritemprante nella terribile afa del Summerstage. Il loro sofisticato pop tra musica da strada e sperimentazione kraut-ambientale incanta e fa sognare. Nonostante il sole metta a dura prova i cinque sensi. Adam Granduciel è un giovane Springsteen umile e dimesso. “Slave Ambient” è una gemma di quel rock adulto figlio dei Mercury Rev che in pochi provano a riproporre.
Unici profeti in patria, vista l’estetica della platea, sembrerebbero The Pains Of Being Pure At Heart su cui si è detto praticamente tutto, date le frequenti visite in Italia dalle parti dell’Hana-Bi di Marina di Ravenna dove sembrerebbero aver lasciato il cuore. Il cuore ricorre nelle canzoncine twee del quartetto di Brooklyn Kip Berman e Peggy Wang sono due piccole icone della scena contemporanea newyorkese. E nel bene o nel male i loro pezzi stanno segnando i nostri tempi, “Young Adult Friction”, “Come Saturday” sono accolti in maniera corale. Come si accoglierebbero dei classici. Il live è soffuso, le chitarre molto leggere e pomeridiane rispetto alle loro ultime apparizioni. Nessuno balla, nessuno salta, ma ormai ci si è fatti il callo. “Heaven’s Gonna Happen Now” e il loro brano eponimo chiudono alla grande lasciando il palco ai veri protagonisti.
Tornati con due, e tra poco tre, album in un anno, i Guided By Voices sono tra i più ignorati pionieri dell’indie in quanto musica indipendente e non in quanto fenomeno più o meno cool sdoganato negli ultimi anni. Dalla metà degli anni Ottanta il prolifico e scorbutico Robert Gollard e i suoi molteplici collaboratori hanno cambiato l’underground statunitense, arrivando all’agognata notorietà forse troppo tardi. Nel mezzo dell’esplosione o della rinascita della musica americana a cavallo tra fine Ottanta e inizio Novanta. E sono “Bee Thousand” e “Alien Lanes” a portarli in qualche modo alla ribalta. Inimitabili nei loro coiti interrotti di uno o due minuti. Schizzi di perle che si vorrebbe poter ascoltare e cantare per quattro o cinque minuti ma implodono prima ancora di emozionare. I GBV sono anche questo, una band lontanissima dai compromessi che si è sciolta giusto in tempo per annullare il tour europeo con l’attesa partecipazione al Primavera Sound. E per riunirsi potendo onorare il CBGB. L’età media ha una leggera variazione. Giustissimo così. In un’eterogeneità anagrafica emblematica dell’apporto dei GBV in qualità di ponte tra l’indie di allora e di oggi. Gollard sale sul palco già sudatissimo sventolando la scaletta. Suoneranno per un’ora e poco più, ma per ovvi motivi ci saranno quasi trenta brani in scaletta, tra un racconto e l’altro del sempre provocatorio frontman.
Il sound è riadattato alla perfezione per un live da arena. Così da risultare nettamente depurato rispetto all’effetto musicassetta che prevale nelle loro produzioni storiche. Parlare dei singoli brani sarebbe superfluo. Il loro è un singhiozzante alternarsi di brevi messaggi nello spazio, per usare un’iconografia a loro gradita. C’è “Game Of Pricks” da “Alien Lanes”, la vera Smells Like Teen Spirit della vera musica indipendente statunitense. C’è “Shocker In Gloomtown” da “Bee Thousand”. E, andando ancora più indietro “14 Cheerleader Coldfront” e “Quality of Armor” tirate fuori dalla soffitta. Nell’alternanza tra i vecchi cavalli di battaglia e le nuove dai due album già presentati nel 2012, Let’s Go Eat the Factory e Class Clown Spots a UFO (2012) si coglie la grandezza del loro songwriting oltre che la peculiarità della loro proposta. Il loro è un ideale percorso nella storia della musica nordamericana da Neil Young agli R.E.M. riletto in chiave post-punk.
L’1 ottobre a Houston e poi il 5 e 6 novembre a Austin e Dallas in Texas; il 22 ottobre a Newport (Kentucky) e il 25 a Bloomington (Indiana); l’11 e 12 novembre a San Diego e Los Angeles e infine il 5 dicembre a New York e il 30 a Chicago. Ci sono cose che noi europei non possiamo cogliere. Queste non sono le date del tour, ma il “Guided By Voices Day”, celebrazione proclamata quasi ovunque negli Stati Uniti.
Se il CBGB contasse ancora qualcosa il GBV day di NYC dovrebbe essere immediatamente spostato al 7 luglio. Epocale.
La scaletta:
Laundry and Lasers
The Head
Roll of the Dice, Kick in the Head
Billy Wire
Doughnut for a Snowman
He Rises! Our Union Bellboy
Blue Babbleships Bay
Shocker in Gloomtown
Spiderfighter
The Unsinkable Fats Domino
Hang Over Child
God Loves Us
Class Clown Spots a UFO
Hang Up and Try Again
Chocolate Boy
The Opposite Continues
Keep It in Motion
Game of Pricks
Waves
I Am A Scientist
Imperial Racehorsing
Goldheart Mountaintop Queen Directory
We Won’t Apologize for the Human Race
No Transmission
14 Cheerleader Coldfront
Quality of Armor
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Matter Eater Lad
Echos Myron