Share This Article
Il Rock & Roll Hotel è uno dei club più suggestivi di Washington. Sorge su H St alle spalle della stazione centrale. Un tempo, come del resto buona parte di Washington Est, zona off limits. Ora in parte rivalutata per quanto nelle strade secondarie si respiri un aria di degrado e segregazione. In buona sostanza gli unici bianchi sono i frequentatori di questo pseudo-saloon in legno che si sviluppa su tre piani con immancabile patio al piano superiore.
Un cartello recita all’ingresso con impagabile ironia e realismo: WE ARE NOT REALLY A FUNCTIONING HOTEL. Programmazione sempre meno rock in senso classico e sempre più indie, un po’ come il Black Cat, locale di cui Dave Grohl risulta essere co-proprietario. In linea con le tendenze della ex-capitale dell’hardcore. Non a caso uno degli eventi più attesi della stagione sold-out, unico sold-out insieme a Japandroids e Chromatics, è questa serata dal respiro pitchforkiano. E del resto persino nel poster sugli headliner si cerca di accrescerne l’hype sbandierando la menzione dell’eponimo “Unknown Mortal Orchestra” tra i 100 album dell’anno 2011 per Pitchfork.
Noi ce ne eravamo accorti lo stesso. Anche senza la spinta della webzine più influente d’America. Sia degli Unknown Mortal Orchestra, sia dei DIIV, scovati per caso quando ancora erano i DIVE, e quindi omonimi di un gruppo industrial di nicchia, in un secret show dei Beach Fossils a Brooklyn. Perché allora i DIIV erano solo una via di mezzo tra un passatempo e un side project di Zachary Cole Smith. Un paio di brani come “How Long Have You Known” e “Doused” diventati dei tormentoni della rete sono bastati per convincersi dell’esordio sulla lunga distanza. Arrivato il 26 giugno con feedback generalmente positivi. A differenza dei Beach Fossils, i quattro volgono le spalle ai Cure, allo shoegaze più lieve nelle sue venature dream-pop. Fedeltà del suono curata meglio in uno di questi sette esclusivi live di presentazione di “Oshin”. Gusti del vestiario da spaventapasseri hipster bassi quanto la flebile ed eteera voce di Smith che però lascia il segno. Chitarre stridenti e sinuose, ritmica incessante. Affini ai Wild Nothing, ma molto più presenti con le chitarre. “Past Lives”, “Sometime” e la titletrack sono semplici e immediatamente coinvolgenti. Un po’ C86, un po’ risposta malata agli Interpol degli albori per impatto. Il disco promette bene, viene subito da pensare. E infatti non delude le attese. Si sentirà parlare di loro tantissimo.
Come intermezzo tra quelli che parrebbero i due nomi clou, tocca invece a Doldrums. Sarà il Gay Pride che impazza con la sua parata e centinaia di eventi a tema in città a incentivare l’abuso di abiti appariscenti. Ma anche Airick, amico di Grimes e titolare del progetto, e i suoi compagni si fanno notare per la medesima modalità carnevale hipster. Le loro sonorità cambiano volto al tranquillo e sognante pre-serata salendo su con bassi e BPM. Il live del progetto dell’eclettico, oltre che fattissimo produttore di Montreal, si scontra con problemi tecnici alle macchine e con la fattanza complessiva. Ne viene fuori un’ipnotica macchina da guerra da Cut Copy kraut. Pulsioni spigolose e frastuoni digitali per uno show meno prolungato di quello dei DIIV, ma molto articolato con remake abrasivi dei suoi cavalli di battaglia, “Egypt”, “Copper Girl” e la più recente “Jump Up”. In attesa del disco, comunque vada, sarà un successo.
Con un po’ ritardo dettato dai capricci di Doldrums conciati peggio minuto dopo minuto , quasi in sordina guadagnano il palco i tre Unknown Mortal Orchestra. Direttamente dalla Nuova Zelanda una delle recenti proposte musicali più originali nel saper mettere insieme motown, Beatles e psichedelia sixties in rumorosissimi brani pop di tre-quattro minuti. Ritmati, godibili, malgrado le equalizzazioni limite. Meno clown, harrisoniani nel loro look da viaggio mistico nel Subcontinenet. Decisamente più maturi e compassati dei colleghi, vanno avanti per un’ora con saltuarie digressioni da psicotici. Basso e batteria degni di una base di Beck, ma umana. Gli UMO partono fortissimo con “Little Blue House”, “Thought Ballune” e poi l’accoppiata devastante “Bicycle”/”How Can U Luv Me”. Prevedibilmente è subito delirio. Sculettamento d’obbligo. Il falsetto e le svisate del frontman e leader del progetto, Ruban Nielson, scivolano via che è una meraviglia. Droni e dissonanze mai esose inghiottite da motivetti lennoniani. Una giostra di suggestioni tra beat e Barrett travolte da feedback fugaci e graffianti distorsioni. I fragori post-punk di “Nerve Damage!”, l’inedita “Swim And Sleep Like A Shark”. Gli UMO suonano tutto il possibile, avendo purtroppo solo un disco all’attivo. E si permettono anche un mini-bis con una versione dilatata e lisergica dell’hit d’apertura dell’LP, l’indianeggiante (e ondeggiante) “Ffunny Ffriends”. E il suo motivetto fatale che si ficca in testa nei secoli dei secoli.
Little Blu House
Thought Ballune
Bicycle
How Can You Luv Me
Jello and Juggernauts
Strangers Are Strange
Swim and Sleep Like a Shark
Nerve Damage!
Boy Witch
———
Ffunny Ffriends
(Piero Merola)
30 Giugno 2012