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http://t.co/m1fjqXI2 “theres comfort in melancholy, when theres no need to explain, just as natural as the weather…” goodnight x pw
Ravenna, had a serious case of the blues tonight, some of the old lyrics are intense + sad to sing GRAZIE MILLE for going there with me XPW
Nel racconto della serata ravennate di Patrick Wolf partirei dai suoi tweet e da un significativo post-concerto, con i fans intorno al palco a consultare la scaletta dei brani eseguiti (e non). Perché qualcosa non è andato per il verso giusto, se è vero che a metà di “Augustine” l’artista londinese, visibilmente provato, ha interrotto lo show per una decina di minuti scusandosi con il pubblico.
Certamente stanchezza e nostalgia di casa – ma anche una fragilità emotiva intrinseca al personaggio – possono aver fatto la loro parte, trattandosi di un tour mondiale di 42 date in tre mesi per promuovere “Sundark And Riverlight”, racconto di dieci anni di attività in chiave totalmente acustica. Patrick Wolf come nell’album in questione si affida solo ad un paio di collaboratori e ad una vasta gamma di soluzioni, dal pianoforte all’ukulele, piuttosto che arpa e violino.
All’Almagià, location suggestiva per un concerto minimale come questo, il ragazzo prodigio parte con una “Bitten” per voce e piano, assai differente dalla versione elettronica presente in “Brumalia”; c’è poi “Vulture” con un sapore alla Mercury Rev nel tocco di vibrafono straziante. “Tristan” ed “Hard Times” possiedono quel chorus arioso che stacca un po’ dal clima bucolico creatosi, ma emozioni insuperabili arrivano da “Wind In The Wires”, poesia barocca dal delizioso fingerpicking memore di Nick Drake. “Paris” è la prima concessione alla musica digitale dei nostri giorni, con un tamburello in loop ad accompagnare l’impetuoso duello di violino e piano (senz’altro uno dei momenti migliori della serata).
Poi il momento d’incertezza, un set reinventato ed il cambio di look, passando da una mise molto ricercata con tanto di velo a nascondere il volto al bohémien più scanzonato della copertina di “The Magic Position”. Accortosi di un pubblico più freddo ritrova il sorriso per introdurre brani ancora classici, come “l’ode all’autunno” di “Bluebells” e l’omaggio di “London” con la melodia di piano “rubata quando era piccolo” da un brano tradizionale britannico. “Overture” introduce il trittico finale di brani più marcatamente pop filo-eighties che si completa con “The City”, meno pacchiana nella nuova veste ma pur sempre di grande impatto sui presenti in sala, alla fine soddisfatti anche dal bis, la riproposizione accappella di “Sing”.
Ragazzo sincero ed artista vero, altri dieci di questi anni Patrick.
La scaletta:
Bitten
Vulture
Tristan
Armistice
Hard Times
Wind In The Wires
Paris
Augustine
Oblivion
The Future
Bluebells
Eulogy/Teignmouth
London
Overture
House
The City
Sing
(Matteo Maioli)
10 novembre 2012