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Per ascoltare l’ultimo lavoro di Cesare Basile, uscito per la Urtovox nei primi giorni di febbraio, bisogna resettare il passato e occorre dimenticare le allusioni e le deformazioni che sul cantautorato si sono sempre fatte. Cesare Basile ha prodotto un grandissimo album. Già “Parangelia”, uscito come singolo, è un brano di ottima fattura che sintetizza il suo essere indipendente come musicista, scrittore, e portatore sano di anarchia. Fa tutto senza nascondersi dietro un dito, come è sua natura fare, con quel viso trascurato e quel cruccio che non si sa se ti sta sorridendo o ti invita a ragionare sulla società marcia.
Dopo essere transitato per le irriverenze grunge indie, dopo le peregrinazioni berlinesi e il trasferimento a Milano, Basile ritorna all’ovile sfornando il suo ottavo album. Catania, sua città natale, lo accoglie nella resistenza dei teatri occupati, nel riscatto che l’umana sorte impone ai propri detrattori, al proprio nubifragio. Ritrova coraggio nella fatica del lavoro dove le chitarre si sporcano di tufo e calcinacci freschi. Non sorprende questa lucidità del cantautore nell’immedesimarsi, bestia dolente fra lupi disincantati. È la vita direbbe qualcuno, ma una vita non la si gioca a carte, una vita non la si frammenta in mille corpi ad appassire, non gli si spezzano le mani e i reni per poi farla fuggire. Queste distonie continue rammentano una rabbia prepotente canalizzata in qualcosa di buono, il teatro per l’appunto.
Il ritorno in Sicilia è la cosa più bella che avrebbe potuto fare e un testo come “Canzuni Addinucchiata”, scritta a quattro mani con la poetessa Dina Basso, sintetizza il dolore di un sud scollato, girato di 180 gradi dalla parte del mondo grigio, per osservare il mare e la sua distanza dalla terra. In “Nunzio e la libertà” la voce è un grido butterato che non difende i cuor di leone, ma i deboli, i cuori di latta. Fango e miseria e una morte in ginocchio in “Marilitta Carni” in cui si manifesta l’acuto dei cantastorie di una volta che giravano di notte nei paesi e attraverso il canto triste e una grancassa raccontavano i fatti del giorno a chi voleva ascoltare, a chi non si tappava le orecchie col pianto.
È proprio la notte un po’ americana, ma ultimamente sempre più siciliana, che fa l’eco in “Minni Spartuti”, un antico racconto d’amore, morte e sottomissione. Il suono della chitarra battente offre il tempo dell’attesa prima che giunga il misfatto, prima che il sangue macchi gli scalini e i vicoli chiusi del paese. “L’orvu” segue la stessa linea direttrice raccontando la storia di un uomo che si è fatto cieco per arrivare al cuore delle parole. Qui Basile interpreta come in un teatro realista, la consapevolezza delle distanze fra gli uomini e vuole dirci che anche se legato alle catene della società, un uomo anche il più bistrattato rimane sempre padrone di se stesso.
“I camminanti” è assolutamente De Andrè, che come Leonard Cohen qui è sempre stato un punto di riferimento di un background rielaborato che si affida ad un pianoforte accarezzato. In “Lettera di Woddy Guhtrie al giudice Thayer” che è un carme per Sacco e Vanzetti, l’acustica ponderata ripropone il noir con sferzate di languore. Si chiude con “Sotto i colpi di mezzi favori”. “A guardare questa strada dall’alto/non lo vedi il mestiere dei servi/chiusi nelle botteghe a forgiare/il ricatto e la democrazia/inchiodare le bare/tatuare i presagi di un piano regolatore/i pezzenti allevati a padrone/son la guardia migliore/sono guardie da sempre non li vedi a guardare dall’alto”. Un testo meraviglioso.
Molto bello anche il regalo che Cesare Basile fa a se stesso e a tutti quelli che lo seguono da anni, pubblicando in doppio vinile per la Viceversa records l’intero album sopra citato più altre otto tracce racchiuse in un’altra operetta dal titolo “Le ossa di colapesce”. Sono rivisitazioni acustiche di canzoni di Basile più un omaggio al grande De Andrè con la rilettura di “Maria nella bottega del falegname”. Da acquistare, da far girare, da far ascoltare al migliore amico. La riprova di un grande cantautorato italiano.
75/100
(Christian Panzano)
11 marzo 2013