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Avere quasi cinquantanni e non sentirli. Lo spot ideale per Johnny Marr, guitar hero negli Smiths e membro nel corso degli anni di altri progetti più e meno rilevanti, tra The The, Modest Mouse e 7 Worlds Collide. “The Messenger” è la conferma di un artista umile ed instancabile, che sa essere allo stesso tempo esecutore eccezionale e songwriter malizioso al punto giusto.
Marr, sulla scia di Noel Gallagher e Paul Weller, è un istituzione britannica, il portabandiera di uno stile e di un modo di essere; il main focus di ogni giudizio sui sovraccitati artisti è sempre la loro origine, un giorno mi spiegheranno il perché Naturale quindi che possa dividere la critica musicale dei due continenti; le lodi di Mojo e NME si scontrano bruscamente con le pessime valutazioni di Under The Radar e Drowned in Sound, il quale bilancia il tutto con una lunga intervista, uscita in contemporanea. Per la serie, diamoglielo pure un contentino a questa vecchia gloria mancuniana.
Io provo in queste righe a mettermi al di sopra delle parti. Ci sono più cose da ricordare che il contrario, in questo “The Messenger”, soprattutto per i cultori di Fender Jaguar, Rickenbacker e compagnia bella. L’incipit sprintoso dei primi due brani – quanto Alex Turner in “I Want The Heartbeat” – è nulla confrontato a perle come le ballad “European Me” e “New Town Velocity”. Atmosfera e sound sono esattamente quelli di trent’anni fa ed ecco il temuto effetto nostalgia, nonostante le linee vocali siano più curate che altrove, cercando di non far rimpiangere Moz. Insomma, se la possono giocare con “Suedehead” e “The More You Ignore Me, The Closer I Get” ma in ogni caso l’unione fa(rebbe) la forza.
Poi c’è il ritorno ai giorni nostri, il refrain alla Franz Ferdinand del singolo di lancio “Upstarts” e ancora gli scozzesi, fin troppo, in “Word Starts Attack”. La title track si riprende quelle frasi di chitarra prestate alla causa dei Cribs, aggiungendo un basso pulsante ed un synth new-wave nel finale. “Sun And Moon” è il miglior brano up-tempo della raccolta, con l’impeto tipico della seconda generazione del brit-pop, dai Marion (Marr ne ha prodotto il secondo LP) agli Stereophonics. Altra citazione la merita l’ambiziosa “Say Demesne”, un intenso, decadente incontro tra Lou Reed e Joy Division.
Appaiono riempitivi solo “Lockdown” e “The Crack Up”, che scivolano via un po’ scontate e senza il peso della responsabilità che il nome Johnny Marr comporta. Poco male. Questo ritorno ci soddisfa, aspettiamo con fiducia che qualcuno pubblichi il nuovo materiale di Morrissey e chissà che Glastonbury 2013 o il tempo non riservino altre buone notizie.
70/100
(Matteo Maioli)
15 marzo 2013