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Sarà che i brani sono notevoli, sarà il party messo su da Josh Homme con un carnet da botto (Trent Reznor, Elton John, Mark Lanegan, Alex Turner, Jake Shears, per citare i più famosi) secondo un già collaudato gusto del coinvolgimento in piena tradizione hommiana (ricordate i precedenti lavori che fior di collaborazioni, che fior di citazioni?). Sarà il ritorno al basso di Nick Oliveri e ai tamburi di Dave Grohl. Sarà che si attendeva da sei anni, attesa appesantita soprattutto da “Era Vulgaris” (2007) che si era rivelato un raccomandabile lassativo. Sarà che si era costruita ad arte l’estasi nevrotizzata del conto alla rovescia tipica dello show business. Sarà che “Like Clockwork” esce con la Matador Records (etichetta più potente che indie), sarà sarà sarà… Ma a girarsi intorno non trovi una critica, una recensione, un commento negativo sul sesto album dei QOTSA. Salvo rare eccezioni.
Ci vorrebbe il tempo invece per far decantare e capire se siamo di fronte al più grande album dei Queen Of The Stone Age, o al loro l’album più sopravvalutato… che in fondo dai, chi ha in spregio l’essere sopravvalutato? Perché anche se sovrastimato, come ritengo che sia, questo per fortuna (vedi ancora lo shock intestinale di “Era Vulgaris”!) è un album da voto alto.
Non è l’ingannevole apripista “Keep Your Eyes Peeled”, trattore ingolfato di marchio Queens Of The Stone Age, a dare l’unità di valutazione di questa superba macchina che si è rimessa in moto, ma l’energia di “I Sat By The Ocean” che ci catapulta nella turgida leggerezza di un credibile pop rock, e proclama nella sua promessa da mantenere per i prossimi concerti che i QOTSA sono tornati! La rotondità ubertosa del corpo di “Like Clockwork” si esprime in un glam-stoner dalle variazioni ampollose manifestate in notturni barocchi come “The Vampyre Of Time And Memory” quanto in sensualità in passerella come “If I Had A Tail” e come in “My God Is The Sun”. Dal già sentito emergono anche una vera perla insolita come “Kalopsia” fermentazione chiaroscurale direttamente dalla tradizione indie-shoegaze degli anni ’90, e lo scialo di tanta grazia in “Fairweather Friends” con l’impiego sprecato dell’amico Elton John. E così fino alla fine tra l’eccedente “Smooth Sailing” e due autentiche rivalse artistiche che sfondano le porte del successo come “I Appear Missing” e la title-track “Like Clockwork”. Avranno un ruolo crescente nel repertorio.
Ma più ci penso e più mi convinco che “Like Clockwork”, sapendo che un talento come quello di Josh Homme e una creazione miliare come quella dei QOTSA debbano avere come unico metro di paragone non gli altri, fuori misura, ma se stessi, sia un album cesellato fino al maniacale, levigato, truccato, stuccato, bello sotto i riflettori per la fotografia più scintillante mentre si avanza sul red carpet stracarico di amici famosi. Però per favore, no. Non dite che sia il migliore mai prodotto. Per favore no! Questa è una bestemmia. Non c’è il pezzo d’assalto vero, e già lo hanno fatto (a scelta in “Rated R”), non c’è la hit della vita e Homme l’ha prodotta (“No One Knows” e non dico altro) non c’è la ballata che dura ed è stata già cantata (”I Never Came” è ancora da brividi). No. “Like Clockwork” per essere l’album migliore avrebbe dovuto contenere tutto ciò in sé, e così non è. Non aggiunge niente, tranne la maturità nel non lasciare al caso nemmeno una intuizione, un colpo d’ala. Album di mestiere, questo sì. Il miglior album di mestiere mai realizzato dai QOTSA.
70/100
(Stefania Italiano)
19 giugno 2013