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Per molti “Old Growth”, l’album precedente datato 2008, ha rappresentato una parentesi nel suono dei Dead Meadow, più attenti alla forma canzone e meno inclini alla libertà psichedelica. Io ne avevo goduto quando le litanie folk di quel sottovalutato lavoro si erano insediate nel mio cervello; stranamente non ho avuto nostalgia del fuzz perenne dei primi lavori che avevano consacrato il gruppo di Austin a paladini della nuova scena psych-rock.
Sono passati cinque anni e questo nuovo “Warble Womb” torna agli albori non disdegnando però le derive folk e blues del precedente capitolo. Tornato nei ranghi il vecchio batterista Mark Laughlin, il trio consegna al suo pubblico un lavoro biblico (quasi 75 minuti) che potrebbe essere la summa del Dead Meadow pensiero; equamente suddiviso tra momenti pieni di riverberi, pop lisergico, groove lunari, stoner che diventa hard e si dissolve in polvere psych and space e shogaze; il tutto centrifugato e incanalato in un’unica catarsi. Dai colori acidi della copertina al rock marziale di “1000 Dreams” passando per il folk di frontiera “One More Toll Taker” alle impennate con le chitarre in levare di “In the Thicket” fino alle interferenze vocali dei due atti “Warple Womb I & II”, questo colosso di pop psichedelico è accomunabile ad un atto d’amore per quello che si è stati e per quello che si è diventati.
Per quello che sarà c’è ancora tempo. Quello che conforta è che oggi i Dead Meadow assorbono generi e la loro musica è sempre più affascinate nonché riconoscibile a coloro che vogliono abbandonarcisi.
73/100
(Nicola Guerra)
4 dicembre 2013