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James Hinton è un ragazzo di Providence che in passato ha coltivato studi di matematica, fisica ed economia. Non si può dire che questo non si senta nella sua musica: sottile, raffinata, colta in modo molto peculiare e personale, ma soprattutto rigorosa, geometrica, a tratti ricorsiva. La base dell’intero album è infatti una sorta di grime attraversato da spunti pianistici e non sempre commentato da voci o testi estesi (pare rintracciati su Youtube).
Continuità, solidità, studio, sono dunque i segni distintivi di “Nonfiction”, che diviene però uno dei dischi davvero significativi dell’anno grazie a ciò che interrompe, o almeno punteggia e disturba questa rigorosa sistematica elettronica. Si tratta di soluzioni in fondo semplici sebbene non del tutto immediate: il primo tratto potrebbe essere definito come una inserzione di aritmie in luoghi strategici dei pezzi, cambi di ritmo certo, ma soprattutto mutamenti profondi del segno delle canzoni e quindi dell’intero album che sgretolano il monolite di un post-math-rock elettronico verso cui sembra tendere in favore di una composizione più vicina proprio al grime o alla dubstep oscura ed urbana della metà del decennio scorso.
“Hamiltonian” è più di altre un esempio di un aspetto che attraversa e caratterizza in profondità lo stile di The Range, un passo diverso rispetto all’acclamato amico Nicolas Jaar. A fianco è da rilevare l’intelligenza dell’uso delle voci, particolarmente vicine a livello attitudinale alla musica ma anch’esse in parte utilizzate come disturbo rispetto all’ordine euclideo delle basi, elementi molto visibili in tracce come“Loftmane” e “FM Myth”.
The Range però non rappresenta un esempio di nerd o di musicista colto in senso tradizionale. Per una ragione molto elementare: la sua musica è in grado di evocare un immaginario ben definito, è strutturata e riflessa ma affatto asettica o emozionalmente irrilevante, limite diffuso dell’elettronica contemporanea anche di grande qualità (uno tra i molti Jon Hopkins).
È una poetica del disturbo e della corporeità quella di “Nonfiction”: le inserzioni ritmiche e vocali servono infatti essenzialmente ad inquietare la compostezza algebrica della narrazione musicale e a conferire ai singoli pezzi corpo e profondità, ad espandere i significati fino alla costruzione di un immaginario suburbano a metà tra la densità aggressiva dell’hip-hop e la desolazione glaciale della dubstep prima maniera.
Un insieme di temi e strumenti che trova il punto più alto, per rappresentazione totale ed espressione piena delle potenzialità di queste soluzioni, nella conclusiva “Metal Swing”: dalla strumentale prima parte fino all’incedere serrato del testo nella seconda si dispiega qui tutta la potenza di una formula davvero originale come quella trovata da James Hinton. Una delle canzoni dell’anno per un album chiave del 2013.
75/100
Francesco Marchesi
14 dicembre 2013