Share This Article
L’artista, in questo caso il musicista, è quello che vive e conosce. Beck è mille cose, nel corso degli anni il suo percorso si è caratterizzato per ecletticità e poliedricità: linguaggi musicali diversi, per non dire agli antipodi, sono confluiti nelle sue produzioni discografiche. Non è da tutti, si contano sulle dita di una mano (forse) gli artisti che – negli ultimi vent’anni – hanno saputo spaziare di genere in genere. Beck, così come l’abbiamo conosciuto, è riuscito a farlo nel giro di quattro minuti: il tempo di una canzone. E sempre nel tempo di una canzone è riuscito cercare e trovare una via compositiva più minimale, abbandonando la strada elettrica per approdare verso lidi più sognanti, quelli rassicuranti di una trama sonora acustica. Lo ha fatto nel 2002 con “Sea Change” e la storia si ripete con quest’ultimo album.
La chiave di lettura di “Morning Phase” è quindi la semplicità, ce lo dice, senza troppi giri di parole, lo stesso Beck: “Stavo sempre cercando di semplificare. Questo è il trucco- semplificare senza che diventi banale”. Il percorso di stesura dell’opera si basa principalmente su un lavoro di sottrazione, Beck cerca un suono che sia essenziale e –sì ripetiamolo- semplice. Ma quando ti chiami Beck, la semplicità diventa bellezza. La struttura base dei vari brani si sviluppa sul binomio “voce – chitarra acustica”- particolarmente evidente in “Heart is a Drum”, Don’t let it go” – e su questo nucleo (originario) scarno si innestano le varie sfaccettature, i vari colori e sfumature, tracciate da viola, violino, violoncello, banjo, piano, clavinet , arpa, basso e chitarra elettrica, a seconda dei brani. Capita quindi che “Wave” abbia un intro solenne, quasi orchestrale, “Turn it away” ripercorra atmosfere chiaro- scure che si rifanno al folk inglese e “Blackbird chain” invece apra a eteree sfumature pop – psichedeliche.
La bellezza di “Morning Phase” è l’assenza di qualsivoglia sovrastruttura, il tessuto strumentale è più che mai lineare: Beck parte da un’idea di scrittura, chiara e intelligibile, e la sviluppa in vari modi, senza mai perdere di vista il flusso creativo iniziale. Beck si dimostra di nuovo grande. La grandezza delle piccole canzoni, semplici canzoni, scritte bene e dipinte ancora meglio.
77/100
(Monica Mazzoli)
9 marzo 2014